Ho dovuto farlo. L'ho lasciata andare. Sono passate poco più di 48 ore, e dovranno passarne molte altre prima che io mi senta bene. Prima che io oltrepassi il lutto. "Era solo un cane". Solo un cane. Non l'avete mai letto, voi, Il Piccolo Principe.
Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, e' piu' importante di tutte voi, perche' e' lei che ho innaffiata. Perche' e' lei che ho messa sotto la campana di vetro. Perche' e' lei che ho riparata col paravento. Perche' su di lei ho uccisi i bruchi (salvo i due o tre per le farfalle). Perche' e' lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perche' e' la mia rosa".
Ed è lei che ho accudito, ogni giorno, per diciotto anni. E' lei che ho tenuto sul divano, tra le braccia mentre guardavo la televisione. E' lei che mi svegliava alle quattro di notte perché aveva fame, aveva sete, aveva voglia di uscire. Ed è lei che mi amata, tanto, come gli animali. E i bambini che, del resto, sono cuccioli. Lei mi ha amata incondizionatamente, per quello che ero. E a me bastava darle da mangiare per sentirmi la persona più importante, più magnanima del mondo.
Mi sono presa cura di lei perché era piccola, perché era buona, perché mi faceva ridere. E' stato per le orecchie a sventola, le gambe storte, e gli occhi dolci che aveva, è stato per il suo modo di muoversi, di comunicare, di dormire. Per tutte le ore passate insieme quando ero bambina e figlia unica, e lei era un Pokémon, un dinosauro, un bebé. Era tutto quello che le chiedevo di essere, e mi ha insegnato a stare con gli altri, a prendermi cura di loro, è lei che mi ha accompagnata nei lunghi pomeriggi d'estate, ha leccato le mie ginocchia sbucciate (e papà non ne è stato entusiasta) e mi correva dietro, quando pedalavo forte nei miei 9 anni sulla prima bicicletta, quella da maschio, blu. Abbiamo avuto tempo, ne abbiamo avuto tanto - ma un certo Eugenio mi ha insegnato che quando qualcuno che ami muore il lungo viaggio è sempre breve. E io e lei insieme forse un milione di scale le abbiamo fatte sul serio. Quelle di casa mia, che portano alla mia stanza, per diciotto, lunghi anni. Insieme.
Su quel tavolo di ferro sembrava molto piccola. Negli ultimi anni aveva perso troppi chili, era vecchia, rimbambita, mezza sorda e mezza cieca. Ma c'era. Eccome se c'era. Correva, mangiava, beveva, era autonoma. Acciaccata, ma arrogantemente viva, vitale. Ha avuto un'ischemia dovuta all'età avanzata, l'ho portata dal veterinario e ho fatto la cosa giusta, la cosa che andrebbe fatta. Ma mica solo con i cani. A mio modestissimo parere dovrebbero poterlo fare tutti. Qui lo dico: se il cervello si spegne, vi prego, lasciatemi morire. Il cervello è tutto quello che ho.
L'ho accarezzata tutto il tempo. Il veterinario è stato professionale e gentile, mi ha lasciata abituare all'idea. Mi ha lasciato tanti minuti, preziosi e indimenticabili, per tenerla vicino. Ho fatto tutto quello che ho potuto. Ho teso ogni nervo affinché lei capisse. Affinché lei vedesse insieme a me, come in un fottuto film, i momenti di una lunga, felice vita insieme. La sua è finita due giorni fa, intorno alle 19, su un tavolo di ferro in cui sembrava molto piccola. E molto stanca.
Si chiamava Lilli, era il mio cane e io le volevo bene. Era un cane. Solo un cane. Ma no che non la scambierei con un bambino. Con nessun bambino. Nemmeno con il vostro. Forse un giorno la scambierei con il mio, ma ora come ora no. Posso accettare che fosse vecchia, posso accettare che se ne sia andata serenamente, al momento giusto, in pace, senza soffrire, ma non accetterò di sentirmi dire che era solo un cane. Lei si chiamava Lilli, era il mio cane, e io la amavo da impazzire.
Ti auguro un viaggio sereno, bambina mia. E più di tutto mi auguro che tu sia stata felice. E secondo me lo eri. Eri felice quando ti cantavo che "è l'ora della maialina al burro al burro di arachidi di arachidi" e quando ti compravo i tuoi biscotti preferiti, quando ti tenevo al mio fianco e ti accarezzavo la schiena, ed ero felice anch'io.