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28 giugno 2014

"La verità"


Questo letto è molto grande io sono molto piccola. Questo letto è freddo come una bara io sono fredda come un morto. Questo letto è vuoto. Schiumo rabbia mentre (non) piango di rancore, mi contorco tra le lenzuola come un ragno, affondo la testa nel cuscino e urlo perché a piangere, poco ma sicuro, non ci riesco. Poi taccio. Infine penso. Faccio un'esame di coscienza.

Se cerchi la verità sei sul blog sbagliato. La verità chiedila ad altri, a quelli che hanno un’opinione su tutto e, cosa ancor più straordinaria, sono assolutamente certi che la loro opinione sia quella giusta. E la difendono. Anche quando farebbero bene a stare zitti. Io dal canto mio non so niente, so meno di Socrate che sapeva di non sapere. Io forse so. Più probabilmente non so. Non capisco. Non desidero capire, farmi un’opinione, persuadervi che sia quella giusta.

Non c’è niente, niente che io abbia mai saputo. Perché di niente mi è mai importato. Preferisco non interrogarmi troppo sul passato, sul presente, sul futuro. Preferirei non interrogarmi affatto. La verità non può essere spiegata, la verità sulla mia (e la vostra) sudicia stanca vita mi è oscura e non mi resta niente al di fuori del tangibile. I cimiteri mi piacciono perché lasciano segni evidenti delle vite trascorse ed è nella pietra che sta la verità. Quelle persone sono morte e anche noi moriremo, almeno questo è indiscutibilmente vero. Mi piacciono i cimiteri perché sono luoghi di pace dove il silenzio fa da padrone dove non c’è niente di lugubre perché nulla vi è di lugubre nel riposo. Polvere siamo polvere torneremo e se ci fosse un Regno Dei Cieli, ma non c’è, ce ne occuperemo poi e non sarà compito nostro effettuare una qualche selezione all'ingresso. Noi saremo morti. I morti non giudicano e nemmeno ascoltano. I morti giacciono ed è la cosa che sanno fare meglio. 

Ho preferito i cimiteri alla verità dunque non fidatevi di me. Delle mie parole. Di questo blog che non vale niente, non è niente, non desidera essere niente. Sono troppo occupata, io, per regalarvi un'opinione convincervi che sia quella giusta. Ho molto da fare, lavorare e sezionare il mio tempo tra l’osservarmi i piedi completamente in botta, tener bordone, gironzolare (preferibilmente per cimiteri, ma non solo), specchiarmi nei vetri sui mezzi pubblici. Solo nella noia mortale del viaggio in metropolitana rendersi conto di quanto c*zzo si sono fatte grosse le mie tette, quanto sembra enorme il mio sedere e poi i fianchi, la pancia, persino il viso. Florida come una giovane donna gravida invece no. Indiscutibilmente e del tutto ovviamente no. Perché l'appuntamento con la colpa del proprio sesso è vero. Il sangue è sempre vero. Come vera è la fame. 

Mio Dio, perché ho così tanta fame? Di cose. Di cibo. Del sapore del gelato, quello in vaschetta mangiato col cucchiaino, che scende per la gola. Freddissimo, dolce, pieno, consolante, esplosivo. E poi di quello della pasta, della carne, della frutta, del vino. Ho fame di cose, di tutte le cose. Come una scheggia impazzita come un animaletto schizofrenico vago, sudo e cerco cibo a volte soltanto un rifugio. Lo trovo nei libri, almeno loro. L’unica valida alternativa alle mille voci del quotidiano che invitano a peccare, a spassarsela. I libri funzionano ma non mi salveranno dal partecipare al Party della Vita e dunque non sazieranno la fame né aiuteranno con quell'altra storia della verità. Montale predicava l’arte della rinuncia e poi tradiva le sue donne e le tradiva tutte. Si piagnucolava addosso e non fate finta signori, no non fate che non sia vero. Anche il poeta preferito può rivelarsi un grandissimo minchione ed è più o meno lì che sta la verità.

In metropolitana. Quando sai di non essere incinta così come sai di essere solo ingrassata. E te ne rendi perfettamente conto. E può darsi anche che non te ne freghi (più) niente e non è esattamente una conquista. Nello stesso istante realizzi che Montale altro non era che un talentuoso imbonitore, forse solo un arrogante bastardo che non sapeva tenerselo nei pantaloni, un pusillanime pieno di niente che ti avrebbe certamente fatta soffrire. E anche che non scriverai mai romanzi perché quelli sono per chi crede di sapere la verità. La verità è grottesca e infatti qualcosa di vero c’è, l’avete appena visto, qui elencato: la morte, il sangue, la fame. Dunque è vero e grottesco il tuo corpo, accaldato e fuori forma, che sta rigido e vigile con gli occhi spalancati riflessi nel vetro del metrò. Sono veri i piedi piccoli affaticati doloranti fasciati nei sandali da zingarella; ed è vero anche quel vago bagliore angosciante, la patina di sudore sulle cose del mondo. Sono vere le albe luminose che emergono dalle finestre nelle case degli altri e sono vere le tue gambe nude che si accartocciano su loro stesse nel dormiveglia. Sono vere le bollicine nella birra, gli spasmi e i brividi, i fulmini al di là delle nubi, vera è la pioggia la nicotina il sapore dell'aria. Sono vere infine le lacrime, quelle che in effetti hai prodotto, copiose e irrefrenabili, durante quella serata con le amiche. Piangevi. Dal ridere. Crepare sì, ma dal ridere.

Più di ogni altra cosa sono vere le lenzuola in cui ti stai contorcendo ed è vero questo letto. Grande, freddo, vuoto, ma mio. Ed è altrettanto vero che non mi sono arresa, che non intendo farlo. Perché non sono morta dunque non mi sono ancora specializzata nel giacere, dunque non mi resta che vivere. E sbellicarmi. Perché la (mia) verità è grottesca e fa ridere.

Ma se la stai cercando sei sul blog sbagliato.

Anche stavolta, statemi bene.