Milano, 3 Agosto 2014
Questo è l’ultimo giorno dei miei ventiquattro anni e non mi sono presentata all'appuntamento col dovere – crescere, farlo sapere a tutti. Sto lavando i piatti che sono tazze, bicchieri, cucchiaini incrostati di zucchero. Stoviglie. La lavastoviglie è rotta, da mesi. Afferro gli oggetti uno a uno, insapono sciacquo risciacquo insapono sciacquo risciacquo, la tazzina gialla – la mia preferita. Sbeccata. Quel giorno che un’ape è entrata dalla finestra mentre cantavo di Marinella la storia vera, le mani bagnate. Lavo i piatti ed è quiete, automatismo e cura. Quando gli elastici per capelli che porto al polso sinistro si bagnano li sposto con i denti all'altezza del gomito. È fondamentale che gli elastici per capelli siano sempre al loro posto, sul polso sinistro – e tra i capelli, naturalmente. È fondamentale che gli elastici non si abissino tra le lenzuola, che non si perdano negli altrui divani. Gli elastici hanno il diritto e il dovere di tornare a casa. Con me. È fondamentale non lasciare tracce, non lasciare oggetti, non lasciarsi e basta, raccogliere le proprie cose e andarsene, l’anima arrotolata nelle tasche, il vuoto che strilla dentro e fuori nelle vie afose della città.
Rassetto casa lentamente
tocco le superfici, gli oggetti, come non fossero del tutto miei ed effettivamente non lo sono. La casa non è mai cambiata. Sono 25 anni meno un
giorno che la casa semplicemente è e io, dentro di lei, sono. Sono me, mentre
passeggio a piedi nudi e mi intravedo negli specchi, sempre uguali, sempre gelidi. Rassetto casa, rifaccio il letto. Il talamo. Sprimaccio i cuscini, cuscini al plurale per un corpo solo, un cranio solo, un’unica fronte sudaticcia un unico
paio di braccia, di gambe, di labbra. Liscio le federe sotto le dita e
penso che di questi 25 anni è lì che riposano le cose più vere. Le cose che si fanno, nei letti. Nei letti si nasce e talvolta, spesso, si muore. Nei letti più di
tutto si legge, si dorme, si morde, si piange. Nei letti si ride e ci si
stende, si giace, nei letti soprattutto si sta ed è nei letti (come nei
cimiteri e in generale nei luoghi dedicati al riposo) che avviene la vita – il
fluire, se ci pensate, è quasi tutto tra le lenzuola. Di questi 25 anni ricordo
chiaramente i giorni cominciati nel letto e nel letto conclusi e poi qualcosa, ben poco,
immagini che sono avvenute fuori mentre, pare, vivevo.
Gli ultimi mesi li ho passati seduta sulla riva di un fiume e aspettando, diligentemente, che passasse il mio
cadavere, qualcosa scritto in una bottiglia. Ma sto mentendo. Non ho
aspettato né mi sono seduta. Non c’è nessun fiume nessuna riva, eppure c'è il cadavere - sono io. Io, nel consueto letto accanto alla finestra dove si è consumato lo spettacolo dei giorni, uno dopo l'altro ho guardato trascorrere i minuti e così è arrivata, esplosa, prosperata la bella
stagione. In un alternarsi di raggi di sole, di luna, di piogge, di fulmini,
di venti il mio corpo è rimasto lì dove doveva essere, nel letto vuoto, a
rabbrividire di freddo. Esclusi dal torpore non ricordo che pochi istanti: quelli in cui voglio recuperare l’elastico per capelli, afferrandolo appena con le dita o
coi denti, e la scritta che leggo ogni giorno ogni sera quando la ragazza (io?) lascia
la casa, il cadavere, il letto e va dove la portano i piedi. Sei felice? La domanda la rivolgono un
paio di occhi immensi, neri, insanguinati, vacui – del tutto identici ai miei.
Quel muro è tutti i muri del mondo e ossessivamente, ogni giorno, lui domanda. Sei felice? Sei felice? Sei felice?
Dimmi, Benedetta o Vanna o chi per te, sei
felice?
Ci sono cose che devo ancora fare, che avrei dovuto fare.
Ma una lavastoviglie o una patente sono poca cosa rispetto al pigiama e ai
fogli che ho lasciato marcire sul comò, impossibilitata come sono nello
spostarmi, nello spostarli. Dovrei prenderli con queste mani, trovare una
scatola che li contenga. Il fatto è che sono cadavere, non è nella mia natura muovermi. Inoltre è delle mani, proprio delle mani che si trattava, capite?
Sono state le mani. Che si sono cercate. E poi strette. Con le mani lui sapeva
comporre e scolpire piccoli pezzi di carta, erano mani che attraverso la manipolazione degli oggetti comunicavano
imbarazzi, concentrazione, talvolta rabbia, quasi sempre amore. Con le
mani arrotolava le mie sigarette, riparava i barattoli dello zucchero. Servono
mani per muovere e rimuovere gli oggetti, quelli che hai lasciato sparsi per casa, i tuoi libri (non
temere) sono al sicuro ma quel pigiama, mi spiace, non ho potuto garantire per lui. Ha
preso l’odore di polvere, di quadri, di pagine, l’odore di mio padre e di suo
padre prima di lui. Ha preso l’odore della Casa e non è che un cencio abbandonato
– solo pochi mesi fa aderiva al tuo corpo che aderiva al tuo odore che aderiva
al mio letto che aderiva ai miei mondi, tutti quanti, di cui tu eri signore e prigioniero. Non c’è stato tempo di restituirsi pigiami, non c’è
stato tempo per le recriminazioni, il paziente non ha sofferto e se ha sofferto
l’ha fatto in silenzio e in quel silenzio io ho potuto addormentarmi.
Ho 25 anni tra poco, a volte penso che la vita per come la
conoscevo si sia spenta il giorno in cui ho spostato il suo pigiama dal letto e
sul letto mi ci sono stesa io. Tutto ciò che è avvenuto dopo è avvenuto e basta, al di
fuori di me, che non ho mai abbandonato il letto né ho smesso di fissare
quel pigiama, momentaneamente posto sul comò, sotto le miniature delle prostitute parigine. Qualcosa lo ricordo. Qualcosa appena. Ho perso un elastico
per capelli mentre bombardano Gaza e i bambini poveri perdono gli arti. Io perdo un elastico per capelli, bombardano Gaza, piango perché bombardano Gaza piango per tutti gli elastici, gli arti, le cose perse. Gli elastici per capelli, ne sono
certa, uno è andato perso e agonizza tra i riccioli di polvere di una
casa non mia. Le macerie da niente che infestano gli angoli, è l'agosto del 2014, da qualche parte bombardano. Bombardano Gaza. Il tonfo dello spazzolino da denti quando viene lasciato cadere
nel bicchiere, un rumore come di fine, come di bombe, un rumore che fa paura
perché legarsi – legarsi fa paura.
I mesi che hanno portato al compimento dei miei primi 25
anni sono tutti tra gli oggetti. I pigiami e gli elastici. Le tazzine del caffè
e le federe. Gli accendini e le lenzuola. I ricordi più autentici e veri dei mesi che hanno
portato al compimento dei miei 25 anni sono le cose che ho toccato,
prestato, perso. Un accendino di nessun colore, dalle mie mani ad altre
mani, gli accendini sono oggetti pericolosi. Non ci sono traguardi né date c’è solo il giorno in cui
ho sbeccato una tazzina e quello in cui ho perso un elastico e quello in cui ho
prestato un accendino e quello in cui ho spostato un pigiama e non sono state
solo le mani ma il viso, affondato nella stoffa fredda – gli occhi asciutti, disperatamente neri; sono stati giorni, mesi di brutte lettere
d’amore non richieste inchiodate alla porta della Casa come minacce, e quella domanda che mi percuote. Sei
felice? Sei felice? Sei felice?
No. Non lo sono. Non lo ero nemmeno prima. Ma ho
una valigia ancora aperta dove ho sapientemente impilato i miei vestiti più
belli, le scarpe, i profumi, le forbicine, la lima per unghie, la spazzola,
i libri. Ho un biglietto per il Messico e domani ci vado. Gli elastici per capelli sono tutti in una scatolina che verrà insieme a me e
insieme a me tornerà a casa, tra un paio di settimane. Ad aspettarmi non ci
sarà niente, solo l’odore di chiuso. Ad aspettarmi non ci sarà nessuno, gli occhi vacui della faccia davanti alla stazione. Ad aspettarmi ci sarà la
Casa, grande e vuota, triste e amata. Ci sarà la mia tazzina preferita quella
gialla, quella sbeccata, rotta in un giorno qualsiasi. Ci sarà il letto. E su
quel letto non ci sarà nessuno, nemmeno io; perché adesso mi prendo per mano, adesso mi porto via. Non so esattamente dove sono stata ma finalmente io mi
vedo, mi vedo, ho prestato accendini recuperato e perduto elastici per capelli sbeccato
tazzine e venduto l'anima alle pieghe dei gomiti. Dormivo, come morta, mentre bombardano Gaza. Sono venuta a svegliarmi, sono venuta a prendermi. Sono io, giaccio immobile nel letto di sempre, mi guardo con occhi asciutti. "Vieni" mi dico e arrivo, mi alzo, sono. Sono io, mentre vado incontro ai cieli del Messico. Mentre parto per un'estate diversa, nuova, nella mia vita diversa, nuova. Forse infelice. Ma nuova. Sono io. Integra, insieme a me.
Statemi bene.
Vanna
(da qualche parte, in Messico)