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26 febbraio 2012

Yes, we Teen

Ieri è stata una bella giornata; di parco con le amiche, di serate sedute attorno ad un tavolo a mangiare biscotti e raccontar cazzate, niente di nuovo sotti i (nostri) ponti da un paio di lustri. Chi non mi conosce non sa che ho un gruppo di amiche più o meno fisso da quasi dieci anni, amiche con cui ho condiviso praticamente tutto il condivisibile sia nella prima adolescenza, sia nell'adolescenza al culmine, sia ora, che dovrei iniziare a diventare grande e ancora ho paura, però, a prendere quel treno, quello che porta verso una presunta maturità che non si ottiene certo sui banchi di scuola.
E' stata una bella giornata, dicevamo, come non ne vivevamo da un bel pezzo; perché il pomeriggio di solito si lavora, di solito non si ha più il tempo d'infilarsi i pattini o la giacca leggera e farsi le foto saltando e fumando le solite sigarette di sempre, con nuove pettinature e le stesse facce non proprio da fotomodelle, e insomma, per una volta però è andata come volevamo noi e ci siamo divertite (giocando a campana, scorrazzando quà e là, tentando acrobazie per cui abbiamo perso il fisico - non l'abbiamo mai avuto) e ieri sera tornando a casa A mi diceva 'mi piacciono queste giornate in cui stiamo tanto insieme', piacciono anche a me, piacciono a tutte.
E mi chiedo perché non dovrei provare a vivere una seconda adolescenza per dieci minuti al giorno, ogni giorno; mi chiedo perché se Peter Pan salvava le fate semplicemente gridando 'io credo nelle fate' io non possa salvare me stessa urlando che una seconda adolescenza, eterna magari, 'si può, si può, si può'.
Conservo nelle narici gli odori di quegli anni vicini e distanti anni luce solo perché conclusi; odore di erba fresca, appena tagliata e delle salamelle nelle prime feste d'estate, il profumo dell'asfalto bagnato sotto le ruote della mia bicicletta ed il tanfo nauseante che invece a volte emanavano i miei vestiti, usavo un 'profumo', o forse sarebbe meglio dire un'essenza che pretendeva di essere alla fragola ma che di fatto odorava di gomma da masticare di quelle che si compravano per 50 lire all'oratorio; un giorno, non ricordo quando, ma suppongo sia stato in concomitanza dei primi sintomi di quella brutta malattia che chiamano 'crescita', ho sostituito quella boccetta mefitica con un'acqua per il corpo da 16 euro, anch'essa alla fragola, fragola vera però, come fosse stata appena colta in un campo ed andasse a posarsi sui miei polsi e sul mio corpo, dolce certo ma non più nauseante - che probabilmente apprezzerebbe anche Pascoli, è davvero 'odore di fragole rosse', Bottega Verde, la consiglio a tutte.
A volte non so quanto ne sia valsa la pena.
A volte rimpiango quell'entusiasmo, l'andare in giro puzzando di gomma da masticare, non saperlo, amarsi comunque, essere felici comunque; non pretendere quasi niente da sé stessi, forse solo un paio di scarpe appositamente rotte e sporcate per sembrare più autentiche ed una bicicletta con le gomme ben gonfiate per andare dappertutto, ma quasi sicuramente sarei andata in un parco, paradiso terrestre metropolitano, a guardare un tramonto, ed occhio a tornare a casa prima che faccia buio altrimenti papà s'incazza.

C'è chi desidera 'tornare indietro' perché ha degli errori da evitar di commettere; io desidero tornare indietro e rimanervi, puzzare di gomma da masticare per un paio d'anni ancora, innamorarmi perdutamente di sconosciuti in metropolitana e scrivere delle loro facce senza nome su diari gonfi di lacrime ed incertezze e 'voi mi odiate perché sono diversa - io vi odio perché siete tutti uguali' ed altre amenità erroneamente attribuite a Jim Morrison, e se non era Jim Morrison era Kurt Cobain o, alla peggio, Bob Marley.
Non si può, è un desiderio che nemmeno il più superpotente degli Dei potrebbe aiutarmi a realizzare, quando si tratta di ritornare a puzzare ed indossare magliette ridicole non c'è buona volontà che tenga, non c'è demonio che possa comprare la mia anima in cambio di questo sciocco desiderio.
Mi limiterò ad accettare come un dono infinitamente al di sopra dei miei meriti giornate come quelle appena trascorse, in cui 'la primavera sbuca col suo passo di talpa' e sembra che nemmeno un giorno sia trascorso da quegli anni in cui l'uno era la prima cifra della mia età anagrafica.





'Ma il tempo, il tempo chi me lo rende? Chi mi da indietro quelle stagioni di vetro e sabbia, chi mi riprende la rabbia, il gesto, donne e canzoni? Gli amici persi, i libri mangiati, la gioia piana degli appetiti, l'arsura sana degli assetati, la Fede cieca in poveri miti?'

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