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18 giugno 2015

Hypocrite écrivain

Carmen Consoli, Non molto lontano da qui
Dicono che sedersi sul fondo della propria doccia e poi piangere sia ciò che fanno le persone quando si arrendono. Dicono che i peccati si pagano - li ho pagati, spero, sedendomi sul fondo della doccia con la pelle assetata, ancora sporca di pioggia e di lui. Di tutti quanti i lui - rivissuti, perduti, amati, ricordati e infine ritrovati, sotto ai platani, dentro Milano, dentro me stessa, da qualche parte tra il 2003 e l'incapacità del mio verbo. Seduta sul piatto della doccia non piango ma lascio che sia Battesimo, lascio che sia purificazione e lascio anche che sia dolore, mentre mi chiedo com'è che è stato, cos'è mancato, quand'è successo che sono diventata così brava a rotolarmi nella mia merda. C'è stato un tempo in cui scrivere era l'atto più sincero, correva l'anno 2003 e il Santo Anonimato ci proteggeva da noi stessi - arranca l'anno 2015 e abbiamo tutti una web reputation da salvare e io sono soltanto io, Benedetta e/o Vanna, basta digitare i miei due nomi affiancati nella barra di Google per trovare dove sono, chi sono, che lavoro faccio, di che cosa mi occupo. "Voglio scrivere qualcosa, qualcosa di vero." - ma come faccio, adesso, a scrivere gli arabeschi delle lenzuola, il ribollire della moka, gli schiaffi, la pazienza, l'inadeguatezza, i nodi, l'acqua, la presunzione e infine le parole che si spaccano a metà, incespicano nell'accento duro, nuovo, si interrompono e infine muoiono, prima che sia stata pronunciata l'ultima vocale. Come te lo racconto, hypocrite lecteur, il terrore agonizzante di chi non vuol morire prima dell'ultima vocale? Al di là della metafora non vi è che lo squallore, l'incapacità del proprio verbo. I platani e il cielo che tuona, io sotto di loro: dolorante e vulnerabile, emaciata e debole, sbattuta come un uovo, fatta di ossa e lividi. Hypocrite lecteur, vorrei farla finita. Farla finita con molte cose, a cominciare dalle metafore. C'è un punto in cui la metafora oltrepassa se stessa e si fa bugia e non sono certa di poterlo tollerare ancora. Non ho sufficiente dimestichezza con le metafore per renderle efficaci, per fare in modo che raccontino come mi sento (se sento) davvero e quello che penso (se penso) davvero. La realtà è spietata, inavvicinabile e indicibile e quando la penso io penso, più che altro, ai platani. I platani a Milano quando piove, quando non sembrano nemmeno alberi. Escrescenze della terra, rampicanti umidi e sporchi, pezzi marci della marcia città che squarciano il cielo e io sotto di loro, rigida e infelice, come un platano. Non sono abbastanza brava per fare fronte all'incapacità del mio verbo e dunque parlarti dei platani vorrebbe essere una metafora. Ma purtroppo è una bugia. 

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