Io non sono una strafiga, e non lo dico con orgoglio; insomma, pagherei una decina delle mie presunte qualità morali per somigliare alla gemella sciatta di Angelina Jolie, o alla zia colitica di Megan Fox.
Non sono nemmeno brutta, sia ben chiaro; sono normale tendente al grazioso dopo trucco e parrucco e normale tendente all'orrendo prima di trucco e parrucco, appartengo alla vastissima categoria delle 'carine ma niente di che'.
(Che poi, certo, i gusti son gusti! Diversi fidanzati, amici, anziani parenti e sbronzissimi gay isterici mi hanno definita bella, bellissima, stupenda - e sicuramente un numero piuttosto elevato di persone avrà altresì pensato di me che sono cozza, irrimediabilmente cozza, tristemente e definitivamente cozza).
Carina, ma niente di che; nessuna falsa modesta, nessuna sincera superbia, solo un'opinione maturata col tempo, un giudizio assolutamente oggettivo su ciò che vedo tutti i giorni davanti allo specchio, ho una buona e cattiva parola per tutto, il mio aspetto fisico non fa eccezione - e non sono nemmeno una bellezza 'volgare' o appariscente, non ho occhi da gatta, gambe lunghe o curve mozzafiato, il mio corpo è stato definito 'efebico' nel migliore dei casi e 'rachitico' nel peggiore, indosso i tacchi raramente, la gonna altrettanto raramente e il mio look quotidiano è decisamente 'nu jeans e 'na magghietta, come ululava Nino D'Angelo.
E per farmi notare non ho nemmeno più quella lunghissima e bellissima chioma di capelli biondi che mi sono portata dietro per anni, ora ho un taglio giovane e birichino e maledettamente importabile che ricorda un po' quello di Hugh Grant primo periodo - insomma, davvero niente, niente che indurrebbe un Dante qualsiasi ad ammutolirsi al mio passaggio, per poi scrivermi poesie d'amore.
Allora, di grazia, qualcuno vorrebbe spiegarmi perché due settimane fa un autista dell'ATM ha pensato bene di mimare una fellatio mentre mangiavo un gelato aspettando di attraversare la strada? E oggi, nemmeno un mese dopo, un tassista frustrato ha mimato invece un cunnilingus alla mia direzione intanto che stavo seduta sulla 94 a guardare Milano con la fronte appiccicata al finestrino?
Dio, io la odio questa categoria di MIM (Molestatori Innocui Metropolitani), la odio.
La odio fondamentalmente perché è stupida, cafona e sopratutto codarda.
Insomma, l'esibizionista masturbatore ha pur sempre un certo carisma se per hobby gira nei parchi a calarsi le braghe davanti a ignare passanti; il fischiatore solitario di solito concede un sorriso, e poi il fischio ha quel gusto un po' retrò che fa molto film di Fellini; le varie manine morte, che in realtà sono incredibilmente vive, sui mezzi pubblici almeno ci mettono la faccia, e non solo quella, e comunque hanno il coraggio di esporsi anche se la folla urlante non vedrà l'ora di linciarli a fatto avvenuto.
Invece quelli come il caro autista, il caro tassista, i playboy su quattro ruote nessuno escluso, li manderei tutti a farsi fottere da Satana in persona - fanno un lavoro noioso, bene, anch'io non sempre mi diverto a studiare centinaia e centinaia di pagine sull'importanza dell'architrave nel teatro greco, eppure non mi metto a cantare ollellé ollallà ai miei compagni di corso, magari fissandoli ostinatamente sotto la cintura.
Quindi, le cose sono due: o da giorni giro con un cartello attaccato alla schiena che recita 'sono portata per il sesso orale' a caratteri cubitali, o il mondo è pieno di teste di cazzo volgari, cafone e sciocche, che non hanno nemmeno il coraggio di stare fermi al loro posto dopo aver detto o mimato la loro stronzata e prendersi il vaffanculo che loro spetta, ma scappano veloci sulle ruote di cui lasciando ragazze come me basite e incredule che tanta pirlaggine, perché di questo si tratta, sia stata posta da Dio nel grande disegno di tutte le cose.
Che poi, non è lo sbigottimento dovuto a cotanta stupidaggine a infastidirmi, è quella sensazione vaga e impalpabile di 'colpa', che mi porta chiedere al mio fidanzato se percaso sembro una facile, se questa mise non mi fa sembrare un po' troppo discinta, insomma...come se fosse colpa mia, colpa mia che sto sull'autobus schiacciata tra un centinaio di persone e sto andando in università, colpa mia che preferisco il gelato nel cono piuttosto che nella coppetta, colpa mia che oggi mi facevo schifo da sola ed ho deciso di indossare la gonna, colpa mia che non cammino con gli occhi bassi.
Ma forse dovrei, forse le nostre consorelle arabe camminano con gli occhi bassi per evitar di vedere quanto può essere cretina la gente, dovremmo imparare tutte da loro.
27 aprile 2012
26 aprile 2012
Tra la Varesina e il West
Vivo in un paese piccolo che è un paese dormitorio, paese piccolo in cui la gente mormora; paese piccolo dell'hinterland milanese in cui le facce per strada sono sempre le stesse, sempre le stesse le vie da attraversare, solo ogni tanto spunta un bar, o un negozio nuovo, che i cittadini di vecchia data guardano con occhi dubbiosi e le labbra si piegano scettiche a sibilare la frase 'non funzionerà mai'.
In questo paese piccolo ci sono due scuole elementari, una scuola media, un centro giovanile (quasi sempre vuoto), un centro anziani (quasi sempre pieno, spaventosamente pieno), un centro sportivo, nessun locale decente in cui passare il sabato sera, quattro tabaccai, tre cartolerie, un paio di gelaterie, un cimitero, due chiese (anzi tre, una è piccolissima e non serve quasi a niente, ci sono entrata la prima volta quest'estate dopo aver fatto gli esami del sangue - mi aspettavo atmosfere affascinanti, invece c'erano solo quattro panche ed un brutto quadro di una Madonna o di un Cristo, nemmeno l'odore d'incenso o 'un prete per chiacchierar'), una stazione ferroviaria, negozi vari ed eventuali di generi alimentari, tre supermercati piccini, un bosco, infinite storie dell'orrore sul bosco in questione, diverse banche, una posta, qualche compagnia assicurativa, forse due agenzie immobiliari, e una biblioteca.
La biblioteca è in pieno centro, è piccola ma ben fornita, sempre caldissima in qualsiasi stagione, gremita di ragazzi che l'affollano per studiarvi o per ritrovarcisi (e infatti son tutti conoscenti miei, alcuni persino amici), si affaccia su un piccolo cortile e sul 'bar della biblioteca' che si chiama però Café Voltaire, nome perfetto se fosse sulla Senna, invece è in via Piave (o è via Donizetti? Chissà!) a Cesate, tredicimila anime stanche nell'hinterland milanese. La biblioteca è gialla, il Café Voltaire è giallo, il cielo di questo giorno di fine aprile è azzurro, l'umore di Vanna (che in biblioteca è più comunemente detta Benedetta, i miei ex compagni delle elementari raramente mi chiamano 'col nome nuovo' e preferiscono quello di quand'ero bambina, quello che persino io a volte ho dimenticato) è azzurro, il Satyricon di Petronio che mi è capitato fra le mani era rosso, e i pochi appunti tracciati a matita sull'introduzione a cura di chissà chi erano grigi, ed erano miei.
Ho preso in prestito quel libro alla biblioteca del paese piccolo in cui la gente mormora in quinta liceo - perché mai, mai avrei sprecato otto euro della mia preziosa paghetta settimanale e dei quattro soldi che prendevo pulendo i bagni di uno squallido bar per comprare un libro che avrei usato solo e soltanto per la scuola, un libro in latino, un libro incompiuto!
Mi è capitato tra le mani, rosso, mentre cercavo il De Bello Gallico e l'Eneide per un esame che devo preparare (cambiano le pecunie, non le abitudini, e ancora mi rifiuto di comprare libri in latino, libri incompiuti!), l'ho sfogliato, ho sentito e visto che era lo stesso. Appunti in scrittura incerta che ho faticato a riconoscere come miei, nozioni vaghe sulla cena di Trimalcione, il mio nome e cognome e la mia classe, la testimonianza ineluttabile dell'inciviltà che dimostro nello scrivere sui libri della biblioteca, ma è solo perché ho paura di perderli, appunto che non sono miei.
Da quando sono diventata grande non ho preso molti libri, ma mi sono preoccupata di cancellare i miei innocenti appunti prima di restituirli, eppure quello è rimasto tale e quale a come l'avevo lasciato io; non vecchio, ma un po' sgualcito, col mio nome sopra. E' stato strano, nient'altro che strano; se fossi poeta o scrittore forse userei un aggettivo migliore, ma è che è stato strano e basta, forse non lo sarebbe per chi non ha verso gli oggetti un attaccamento morboso, ma lo è stato per me e tanto mi è bastato per avere il batticuore.
Il paese piccolo sta cambiando, non dirò che sta diventando grande perché non sarebbe vero, ma le case spuntano come funghi e coprono i campi di grano che ci circondavano a mo' di fossato quand'ero bambina, pare che le famiglie letteralmente si affollino per venire a vivere qui - tra queste case sempre uguali, vie che non cambiano mai, piazze che non si rinnovano, tamarri che si accoltellano, perché è un posto tranquillo, è comodo e verde e silenzioso e vivibile e mortalmente noioso, forse un po' brutto ma sicuramente abbastanza noioso per camparci serenamente e crescerci dei figli - sempre che non vengano mandati all'unica scuola media del comune, perché in quel caso i figli prodigi rischiano di aver corta la vita tra bullismi e amianto che ancora ristagna sui tetti, tra le lamiere fns, fine nota satirica, anzi...satyrica..
Là dove c'era l'erba ora c'è...non proprio una città, ma un paesotto volgare in continua evoluzione, eppure letalmente uguale a sé stesso nei secoli dei secoli, per tutti i secoli, la gloria dei secoli.
Paesotto volgare, la cui biblioteca fa di tutto per renderlo meno volgare, e tiene cara la sua unica copia del Satyricon anche se una diciottenne ribelle fece la stupidaggine di scriverci sopra il suo nome, il suo cognome, la sua classe, vaghe nozioni che devo aver ripetuto un po' a memoria alla mia stupenda prof. di letteratura italiana e latina, insegnante di versi, di prosa e di vita.
Il paese in cui vivo è un paese dormitorio in cui la gente non dorme ma mormora, in cui le facce, i nomi, le notizie, gli eventi, le nascite, le morti, le partenze e i ritorni si rincorrono di bocca in bocca e arrivano alle orecchie di tutti, anche di chi non vorrebbe sentire - orecchie di chi dice che non gl'importa niente e poi sa sempre tutto, orecchie che somigliano incredibilmente alle mie.
Il paese in cui vivo è tra la Varesina e il West, non ha niente da offrire, non ha siti storici da visitare, ma ha una biblioteca gialla in cui ogni libro rimane letteralmente uguale a come l'avevi lasciato e questa è una bella cosa, per un paese noioso e piccolo, così piccolo, in cui la gente - quando non grida da una finestra all'altra come nei migliori romanzi popolari - mormora, e mormora, e mormora.
In questo paese piccolo ci sono due scuole elementari, una scuola media, un centro giovanile (quasi sempre vuoto), un centro anziani (quasi sempre pieno, spaventosamente pieno), un centro sportivo, nessun locale decente in cui passare il sabato sera, quattro tabaccai, tre cartolerie, un paio di gelaterie, un cimitero, due chiese (anzi tre, una è piccolissima e non serve quasi a niente, ci sono entrata la prima volta quest'estate dopo aver fatto gli esami del sangue - mi aspettavo atmosfere affascinanti, invece c'erano solo quattro panche ed un brutto quadro di una Madonna o di un Cristo, nemmeno l'odore d'incenso o 'un prete per chiacchierar'), una stazione ferroviaria, negozi vari ed eventuali di generi alimentari, tre supermercati piccini, un bosco, infinite storie dell'orrore sul bosco in questione, diverse banche, una posta, qualche compagnia assicurativa, forse due agenzie immobiliari, e una biblioteca.
La biblioteca è in pieno centro, è piccola ma ben fornita, sempre caldissima in qualsiasi stagione, gremita di ragazzi che l'affollano per studiarvi o per ritrovarcisi (e infatti son tutti conoscenti miei, alcuni persino amici), si affaccia su un piccolo cortile e sul 'bar della biblioteca' che si chiama però Café Voltaire, nome perfetto se fosse sulla Senna, invece è in via Piave (o è via Donizetti? Chissà!) a Cesate, tredicimila anime stanche nell'hinterland milanese. La biblioteca è gialla, il Café Voltaire è giallo, il cielo di questo giorno di fine aprile è azzurro, l'umore di Vanna (che in biblioteca è più comunemente detta Benedetta, i miei ex compagni delle elementari raramente mi chiamano 'col nome nuovo' e preferiscono quello di quand'ero bambina, quello che persino io a volte ho dimenticato) è azzurro, il Satyricon di Petronio che mi è capitato fra le mani era rosso, e i pochi appunti tracciati a matita sull'introduzione a cura di chissà chi erano grigi, ed erano miei.
Ho preso in prestito quel libro alla biblioteca del paese piccolo in cui la gente mormora in quinta liceo - perché mai, mai avrei sprecato otto euro della mia preziosa paghetta settimanale e dei quattro soldi che prendevo pulendo i bagni di uno squallido bar per comprare un libro che avrei usato solo e soltanto per la scuola, un libro in latino, un libro incompiuto!
Mi è capitato tra le mani, rosso, mentre cercavo il De Bello Gallico e l'Eneide per un esame che devo preparare (cambiano le pecunie, non le abitudini, e ancora mi rifiuto di comprare libri in latino, libri incompiuti!), l'ho sfogliato, ho sentito e visto che era lo stesso. Appunti in scrittura incerta che ho faticato a riconoscere come miei, nozioni vaghe sulla cena di Trimalcione, il mio nome e cognome e la mia classe, la testimonianza ineluttabile dell'inciviltà che dimostro nello scrivere sui libri della biblioteca, ma è solo perché ho paura di perderli, appunto che non sono miei.
Da quando sono diventata grande non ho preso molti libri, ma mi sono preoccupata di cancellare i miei innocenti appunti prima di restituirli, eppure quello è rimasto tale e quale a come l'avevo lasciato io; non vecchio, ma un po' sgualcito, col mio nome sopra. E' stato strano, nient'altro che strano; se fossi poeta o scrittore forse userei un aggettivo migliore, ma è che è stato strano e basta, forse non lo sarebbe per chi non ha verso gli oggetti un attaccamento morboso, ma lo è stato per me e tanto mi è bastato per avere il batticuore.
Il paese piccolo sta cambiando, non dirò che sta diventando grande perché non sarebbe vero, ma le case spuntano come funghi e coprono i campi di grano che ci circondavano a mo' di fossato quand'ero bambina, pare che le famiglie letteralmente si affollino per venire a vivere qui - tra queste case sempre uguali, vie che non cambiano mai, piazze che non si rinnovano, tamarri che si accoltellano, perché è un posto tranquillo, è comodo e verde e silenzioso e vivibile e mortalmente noioso, forse un po' brutto ma sicuramente abbastanza noioso per camparci serenamente e crescerci dei figli - sempre che non vengano mandati all'unica scuola media del comune, perché in quel caso i figli prodigi rischiano di aver corta la vita tra bullismi e amianto che ancora ristagna sui tetti, tra le lamiere fns, fine nota satirica, anzi...satyrica..
Là dove c'era l'erba ora c'è...non proprio una città, ma un paesotto volgare in continua evoluzione, eppure letalmente uguale a sé stesso nei secoli dei secoli, per tutti i secoli, la gloria dei secoli.
Paesotto volgare, la cui biblioteca fa di tutto per renderlo meno volgare, e tiene cara la sua unica copia del Satyricon anche se una diciottenne ribelle fece la stupidaggine di scriverci sopra il suo nome, il suo cognome, la sua classe, vaghe nozioni che devo aver ripetuto un po' a memoria alla mia stupenda prof. di letteratura italiana e latina, insegnante di versi, di prosa e di vita.
Il paese in cui vivo è un paese dormitorio in cui la gente non dorme ma mormora, in cui le facce, i nomi, le notizie, gli eventi, le nascite, le morti, le partenze e i ritorni si rincorrono di bocca in bocca e arrivano alle orecchie di tutti, anche di chi non vorrebbe sentire - orecchie di chi dice che non gl'importa niente e poi sa sempre tutto, orecchie che somigliano incredibilmente alle mie.
Il paese in cui vivo è tra la Varesina e il West, non ha niente da offrire, non ha siti storici da visitare, ma ha una biblioteca gialla in cui ogni libro rimane letteralmente uguale a come l'avevi lasciato e questa è una bella cosa, per un paese noioso e piccolo, così piccolo, in cui la gente - quando non grida da una finestra all'altra come nei migliori romanzi popolari - mormora, e mormora, e mormora.
22 aprile 2012
Di scarpe e di domeniche
Brutta giornata, la domenica. Lo so, lo dicono tutti, ma del resto questo è un blog senza pretese e come tale non ha la pretesa di dire cose non banali; la domenica non mi piace perché è spenta e grigia, e sta esattamente in mezzo ai due giorni della settimana che invece preferisco: il sabato, perché il sabato quando non lavoro faccio cose che mi piacciono, ed anche se lavoro faccio qualcosa che mi piace - e il lunedì, che è in assoluto il giorno più bistrattato e più bello. Il lunedì è giorno di pelle profumata di doccia, di vestiti scelti con cura la sera prima, di zaino ripulito dalle macerie cartacee accumulate nel corso della settimana, di buoni propositi, di serate etiliche in taverna con le amiche a 'stramaledire gli uomini, il tempo ed il governo' - domani sarà anche giorno di esami del sangue, e tremo all'idea di dovermi avventurare in bicicletta fino all'ospedale con lo stomaco vuoto, e poi attendere quei due o tre secoli col numerino in mano, per poi arrivare finalmente tra le mani di una qualsiasi infermiera maleducata (le infermiere di quell'ospedale lo sono sempre!) che mi dissanguerà mentre io cercherò di non svenire e sopratutto di non guardare.
Questa domenica non è stata poi così male, un risveglio tenero tra le braccia del fidanzato e una colazione a base di caffé latte, cereali e brioche consumata intorno all'una di pomeriggio, fare l'amore e becchettarci come passerotti e poi un gelato e un giro tra le bancarelle e tutte queste belle cose da persone innamorate - o che almeno ci provano, no?.
Questa domenica è stata migliore di altre perché ho comprato un paio di scarpe nuove, e Dio sa quanto raramente regalo qualcosa a me stessa per il solo gusto di farlo, e poi le ho indossate in casa per fare le pulizie perché ne ero e ne sono entusiasta e godo dei miei piedi piccoli inguantati in queste calzature nuove, che non sono il mio genere ma sono scarpe che piacciono molto alla donna che vorrei diventare un giorno, un giorno lontano ma neanche troppo di quando sarò adulta e, speriamo, serena ed elegante e profumata e sorridente e aggettivipositiviacaso, fate voi.
Questa domenica non è stata poi così male, un risveglio tenero tra le braccia del fidanzato e una colazione a base di caffé latte, cereali e brioche consumata intorno all'una di pomeriggio, fare l'amore e becchettarci come passerotti e poi un gelato e un giro tra le bancarelle e tutte queste belle cose da persone innamorate - o che almeno ci provano, no?.
Questa domenica è stata migliore di altre perché ho comprato un paio di scarpe nuove, e Dio sa quanto raramente regalo qualcosa a me stessa per il solo gusto di farlo, e poi le ho indossate in casa per fare le pulizie perché ne ero e ne sono entusiasta e godo dei miei piedi piccoli inguantati in queste calzature nuove, che non sono il mio genere ma sono scarpe che piacciono molto alla donna che vorrei diventare un giorno, un giorno lontano ma neanche troppo di quando sarò adulta e, speriamo, serena ed elegante e profumata e sorridente e aggettivipositiviacaso, fate voi.
E poi ho fatto la smorfiosa, mi sono fotografata da sola, mi sono buttata in doccia ed ho goduto del mio nuovo shampoo e della crema alla papaya - e mi sono sentita molto sciocca, molto poco femminista, molto superficiale, molto ragazzina, molto esibizionista, molto felice di una domenica che non è stata brutta come le altre; lo devo a delle scarpe nuove, lo devo alla primavera, quasi sicuramente lo devo a te(o), e buonasettimana a tutti, ma sopratutto a me.
19 aprile 2012
Oltre alle gambe c'è di più
Trenta secondi nella testa di una (quasi) donna in piena sindrome premestruale:
Voglio un dolce - mi fa male la testa - sono stanca - Dio, oggi non riesco a combinare proprio niente - questa versione è troppo difficile - voglio un dolce, sul serio - l'articolo su Morosini che ho trovato in Vanity Fair mi ha fatto piangere, ma in che squadra giocava Morosini? - quanto vorrei un dolce - quanto vorrei un figlio - detesto i miei capelli - detesto la mia faccia - non sono felice - e se non ti amassi più? - e se tu non amassi me? - piangere sulla 94 - accorgersi che un bambino ti sta guardando, piangere più forte - santocielo se sono stanca - anche questa versione è troppo difficile - ora mi compro un gelato - voglio un altro dolce - ora mi levo dalle palle e vado a comprarmi un paio di scarpe - l'università non fa per me, sono troppo stupida - lasciami in pace - lasciami perdere - signora, sta ostruendo il passaggio, cazzo - credo di avere un tumore al seno - rivoglio i capelli lunghi - non riesco ad alzarmi dal letto - voglio, esigo, pretendo un cazzo di dolce, adesso - non mi sento bene - ho un calo di potassio - ho un calo di zuccheri - piove - non voglio andare al lavoro - non voglio andare in università - vi megaodio tutti - sono nervosa - sono a pezzi - sono sul punto di suicidarmi - le mie cuffie si sono rotte, la vita non ha senso - ho gli occhi troppo grandi - ho il seno troppo piccolo - è tutta colpa tua - non mi capisci - non mi ami - non mi hai mai amata - sei una persona orrenda e non posso credere di essere stata così sfortunata d'averti conosciuto - devo iscrivermi in palestra - ma tanto faccio comunque schifo - faccio schifo - faccio orrore - faccio pena - mi manca mio padre, mia madre, il fratello che non ho mai avuto, il mio ex, la mia amica dell'asilo, il cane di quando ero piccina - il mio orsacchiotto è l'unico che mi capisce - vorrei un figlio, sul serio - detesto i bambini, li detesto al punto che se quella piccola merda non la smette di urlare adesso lo butto nel Naviglio insieme a sua madre - mio figlio si comporterà meglio - tanto di sicuro sono sterile - e se fossi incinta? No, non lo sei, la risposta è nel crampo che hai appena avuto; non sei incinta, non sei impazzita, hai solo avuto la straordinaria fortuna di nascere donna.
Voglio un dolce - mi fa male la testa - sono stanca - Dio, oggi non riesco a combinare proprio niente - questa versione è troppo difficile - voglio un dolce, sul serio - l'articolo su Morosini che ho trovato in Vanity Fair mi ha fatto piangere, ma in che squadra giocava Morosini? - quanto vorrei un dolce - quanto vorrei un figlio - detesto i miei capelli - detesto la mia faccia - non sono felice - e se non ti amassi più? - e se tu non amassi me? - piangere sulla 94 - accorgersi che un bambino ti sta guardando, piangere più forte - santocielo se sono stanca - anche questa versione è troppo difficile - ora mi compro un gelato - voglio un altro dolce - ora mi levo dalle palle e vado a comprarmi un paio di scarpe - l'università non fa per me, sono troppo stupida - lasciami in pace - lasciami perdere - signora, sta ostruendo il passaggio, cazzo - credo di avere un tumore al seno - rivoglio i capelli lunghi - non riesco ad alzarmi dal letto - voglio, esigo, pretendo un cazzo di dolce, adesso - non mi sento bene - ho un calo di potassio - ho un calo di zuccheri - piove - non voglio andare al lavoro - non voglio andare in università - vi megaodio tutti - sono nervosa - sono a pezzi - sono sul punto di suicidarmi - le mie cuffie si sono rotte, la vita non ha senso - ho gli occhi troppo grandi - ho il seno troppo piccolo - è tutta colpa tua - non mi capisci - non mi ami - non mi hai mai amata - sei una persona orrenda e non posso credere di essere stata così sfortunata d'averti conosciuto - devo iscrivermi in palestra - ma tanto faccio comunque schifo - faccio schifo - faccio orrore - faccio pena - mi manca mio padre, mia madre, il fratello che non ho mai avuto, il mio ex, la mia amica dell'asilo, il cane di quando ero piccina - il mio orsacchiotto è l'unico che mi capisce - vorrei un figlio, sul serio - detesto i bambini, li detesto al punto che se quella piccola merda non la smette di urlare adesso lo butto nel Naviglio insieme a sua madre - mio figlio si comporterà meglio - tanto di sicuro sono sterile - e se fossi incinta? No, non lo sei, la risposta è nel crampo che hai appena avuto; non sei incinta, non sei impazzita, hai solo avuto la straordinaria fortuna di nascere donna.
18 aprile 2012
Cose che non sono capace di fare
- Avere costanza nel gestire un blog, ad esempio.
- Scrivere autobiografie, anche brevi (e lo dicevo oggi, proprio oggi, e ci ho pensato su parecchio; a quella volta al laboratorio in università, e la prof. brava e gentile che chiedeva una nostra scheda di presentazione, se ci andava, e io non ci sono riuscita; e a quel ragazzo carino che ne aveva fatta una così bella ma talmente bella che la prof. gli aveva chiesto il permesso di leggerla a tutti, e a quanto l'avevo invidiato, era attraente di quell'attraenza che a me non attrae e palestrato e ordinato e pulito e sembrava incapace a prima vista di saper scrivere qualcosa di così gradevole).
- Resistere alla tentazione di mettermi o rimettermi a scribacchiare quando fuori piove.
Non posso farci niente - è più forte di me. Il passo di talpa della primavera quest'anno somiglia al movimento incerto di un bradipo, animale bellissimo, e la pioggia mi smuove sensazioni perché sono donna e metereopatica e quando piove non ho voglia di far nulla se non chiudermi in me stessa come un gomitolo e sbatacchiare i tasti per minuti e minuti senza dire niente. In questo mese e passa di assenza su un blog che non legge nessuno, nemmeno io, ho rivisto l'America e mio padre, ho fatto versioni di latino e sono inciampata nella mia stessa tesi, ho lavorato come al solito, pianto parecchio, visto piangere a mia volta - ho bevuto, riso, fumato, fatto cose e visto gente, ritrovato persone, sacrificato istanti, ricordato e scritto.
Ho persino tentato una dieta che non è una dieta ma una sorta di autopunizione in cui mangio pochissimo ma bene per evitare di mangiare pochissimo e male, e mi sono innervosita, divertita, eccitata, entusiasmata, spaventata, ricordata, persa e ritrovata.
Ho comprato una bicicletta che è nera, anziana e si chiama Priscilla; ha un cestino sul davanti e meriterebbe una riverniciatina, ma trovo che le riverniciate siano come il botox, trovo che i segni del tempo siano incredibilmente affascinanti su una femmina, fosse anche una bicicletta - e io stessa non vedo l'ora di avere le rughe, so già che mi verranno attorno agli occhi e alla bocca, e quelle attorno alla bocca saranno come parentesi in cui chiudere un sorriso precocemente invecchiato dalla nicotina ma sempre bello, tranne che in fotografia.
Il passo di talpa della primavera quest'anno somiglia all'immobilità del legno e della pietra, la primavera spinge attraverso le nuvole, la sento, eppure non fa che piovere; uno di questi giorni mi sveglierò e sarà già estate, e l'estate è la stagione più fredda dell'anno perché manca d'aspettativa, semplicemente é - e io non credo di poterlo tollerare, ho la sindrome da sabato del villaggio che con l'età non fa che acutizzarsi, se continuo così comincerò a sentirmi angosciata alle idi di marzo perché mi sembrerà di non avere più nulla d'attendere, nessuna speranza in cui confidare.
Sono malinconica perché piove, perché credo debbano venirmi le mestruazioni, perché rivoglio i miei capelli lunghi, perché mi sento vecchia, perché piove, perché piove e piove e piove, perché ci sono tante cose che non so fare e sono stata capace di elencarne solo tre - avere costanza con un blog, ma cerchiamo di provarci, cerchiamo di ritornare, su questo schermo e dentro me stessa, il meteo dice che pioverà ancora per diversi giorni.
E io ne avrò, hai voglia se ne avrò, di scarpe da bagnare - di pagine da scrivere.
- Scrivere autobiografie, anche brevi (e lo dicevo oggi, proprio oggi, e ci ho pensato su parecchio; a quella volta al laboratorio in università, e la prof. brava e gentile che chiedeva una nostra scheda di presentazione, se ci andava, e io non ci sono riuscita; e a quel ragazzo carino che ne aveva fatta una così bella ma talmente bella che la prof. gli aveva chiesto il permesso di leggerla a tutti, e a quanto l'avevo invidiato, era attraente di quell'attraenza che a me non attrae e palestrato e ordinato e pulito e sembrava incapace a prima vista di saper scrivere qualcosa di così gradevole).
- Resistere alla tentazione di mettermi o rimettermi a scribacchiare quando fuori piove.
Non posso farci niente - è più forte di me. Il passo di talpa della primavera quest'anno somiglia al movimento incerto di un bradipo, animale bellissimo, e la pioggia mi smuove sensazioni perché sono donna e metereopatica e quando piove non ho voglia di far nulla se non chiudermi in me stessa come un gomitolo e sbatacchiare i tasti per minuti e minuti senza dire niente. In questo mese e passa di assenza su un blog che non legge nessuno, nemmeno io, ho rivisto l'America e mio padre, ho fatto versioni di latino e sono inciampata nella mia stessa tesi, ho lavorato come al solito, pianto parecchio, visto piangere a mia volta - ho bevuto, riso, fumato, fatto cose e visto gente, ritrovato persone, sacrificato istanti, ricordato e scritto.
Ho persino tentato una dieta che non è una dieta ma una sorta di autopunizione in cui mangio pochissimo ma bene per evitare di mangiare pochissimo e male, e mi sono innervosita, divertita, eccitata, entusiasmata, spaventata, ricordata, persa e ritrovata.
Ho comprato una bicicletta che è nera, anziana e si chiama Priscilla; ha un cestino sul davanti e meriterebbe una riverniciatina, ma trovo che le riverniciate siano come il botox, trovo che i segni del tempo siano incredibilmente affascinanti su una femmina, fosse anche una bicicletta - e io stessa non vedo l'ora di avere le rughe, so già che mi verranno attorno agli occhi e alla bocca, e quelle attorno alla bocca saranno come parentesi in cui chiudere un sorriso precocemente invecchiato dalla nicotina ma sempre bello, tranne che in fotografia.
Il passo di talpa della primavera quest'anno somiglia all'immobilità del legno e della pietra, la primavera spinge attraverso le nuvole, la sento, eppure non fa che piovere; uno di questi giorni mi sveglierò e sarà già estate, e l'estate è la stagione più fredda dell'anno perché manca d'aspettativa, semplicemente é - e io non credo di poterlo tollerare, ho la sindrome da sabato del villaggio che con l'età non fa che acutizzarsi, se continuo così comincerò a sentirmi angosciata alle idi di marzo perché mi sembrerà di non avere più nulla d'attendere, nessuna speranza in cui confidare.
Sono malinconica perché piove, perché credo debbano venirmi le mestruazioni, perché rivoglio i miei capelli lunghi, perché mi sento vecchia, perché piove, perché piove e piove e piove, perché ci sono tante cose che non so fare e sono stata capace di elencarne solo tre - avere costanza con un blog, ma cerchiamo di provarci, cerchiamo di ritornare, su questo schermo e dentro me stessa, il meteo dice che pioverà ancora per diversi giorni.
E io ne avrò, hai voglia se ne avrò, di scarpe da bagnare - di pagine da scrivere.
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