Una cosa l'ho capita, una soltanto - che gli esseri umani sono divisi in due grandi categorie che concernono il rapporto che si ha con l'oggetto più diffuso e sottovalutato del mondo: l'accendino.
Sì, è il 'rapporto con l'accendino' a dividerci in due immense famiglie che non s'incontreranno mai.
I primi sono i Possessori Affezionati, quelli che comprano un accendino carino, particolare (informazione di servizio: si vedano in qualsiasi tabaccaio ben fornito quelli con i disegni di Manara), o addirittura costoso ed elegante tipo uno zippo d'argento, e lo usano fino alla fine del ciclo di vita.
Un unico accendino, per tre mesi o per sempre, che tengono ben stretto al cuore (e alla tasca), prestandolo di malavoglia ai presenti e continuando a osservarlo con attenzione affinché non venga perduto o peggio, rubato (fate caso, di solito il Possessore Affezionato preferisce accendere le sigarette altrui con le proprie mani, simulando una gentilezza che ha il solo scopo di difendersi da eventuali furti).
Ho visto coi miei occhi persone in evidente stato d'alterazione fisica (leggasi: visibilmente ubriache) affannarsi nella ricerca paranoica del proprio accendino e rovinare la serata a tutti finché non viene ritrovato o dato per perso, disperatamente perso, come fosse un portafogli o un cellulare.
Loro sono i pragmatici, i precisi, quelli con le palle quadre, fedeli a se stessi e coerenti.
La seconda categoria è quella dei Possessori Casuali che raramente hanno tra le mani lo stesso accendino per due giorni di seguito: gli accendini loro li perdono, li abbandonano, li regalano e, sopratutto, li rubano.
Un imperativo categorico ordina di prendere l'accendino che qualcuno ci presta, infilarlo in tasca distrattamente, farlo nostro - è un gesto orribile, sporco, di cui poi ci vergognamo tantissimo...se scoperti.
E veniamo scoperti, sempre, dal Possessore Affezionato che di solito è 1 ogni 4 fumatori, e che ci odia: fosse anche un fratello, un amico, un fidanzato lui in quel momento e solo in quel momento ci odia, potesse userebbe l'amato accendino per darci fuoco.
Invece, nel caso di Possessore Casuale vs Possessore Casuale è tutto un grande scambiarsi, prestarsi, regalarsi accendini allegramente: provateci, provate a uscire, come nel mio caso, in rapporto 1PAffez più 3PCasual e guardarvi reciprocamente nelle tasche a fine serata.
Il PCasual1 si sarà impossessato dell'accendino del PCasual2, e vicecersa.
Il PCasual3 avrà perso il suo accendino, avrà rubato un paio di quelli altrui e ne avrà scoperto un altro, dimenticato, nella più piccola tasca della borsa.
Noi siamo i creativi, gli schizzati, i fantasiosi, i propositivi - noi siamo, diciamolo, i simpaticoni della compagnia.
Io, come già avete dedotto, appartengo alla categoria del Possessore Casuale, e se esistessero delle Olimpiadi per la promiscuità tra donna e accendini io forse le vincerei.
Li ho contati, sono dodici e non ho assolutamente idea da dove provengano.
So però di aver acceso la prima sigaretta della giornata con un accendino verde fluo, piccolo e con la rotellina, e di star per accendere l'ultima con un Bic di quelli grassi, di colore blu.
So che se adesso volessi cimentarmi nell'impresa titanica di svuotare le tasche di tutte le giacche, di tutti i pantaloni e di tutte le borse che posseggo vi troverei almeno altri cinque o sei accendini.
So, infine, che se Dio esiste appartiene alla prima categoria, dal momento che circa tre mesi fa ho subito la peggiore tra le violenze dell'anima: mi è stata rubata la borsa.
Ho perso il portafogli, il cellulare e la macchina fotografica nel giro di una serata, e quando il giorno dopo sono andata a riprendermi la borsa dentro vi ho trovato solo un misero accendino che nemmeno sapevo di avere, ed è la prova che se Dio esiste non solo è un attivista Possessore Affezionato, ma ha anche un pessimo senso dell'umorismo.
31 luglio 2012
30 luglio 2012
All'inizio era il nome
C'è stato un momento in questo duemiladodici in cui ho saputo di aver passato lo scritto di latino.
Lo scritto di latino io l'ho dato tre volte, le prime due sono state fallimentari - dovete sapere, amati lettori, che lo scritto di latino non è un esame normale: lo scritto di latino si può sostenere una volta per sessione, ciò significa che lo scritto di latino, se non lo passi, ti blocca per i successivi quattro mesi, e nel caso spietato tu non lo passi ancora, ti blocca per altri quattro mesi e via dicendo.
La terza volta che ho dato lo scritto di latino pesavo 40kg tondi tondi.
Quando ho saputo di averlo passato ne pesavo 39, e credevo fosse una buona idea.
Quando ho saputo di averlo passato ero appollaiata sul muretto dell'aula studio a non volerlo sapere, e fumavo sigarette e berciavo cagate con la mia voce grossa, e morivo di fame e di dolore.
Quando ho saputo di averlo passato io ti ho guardato, e se la prima volta che t'ho visto forse non t'avevo visto quando ti ho guardato è stata come una cannonata in pieno petto - una cannonata avrebbe fatto meno rumore.
Quel rumore, come di temporale, nessuno l'ha sentito.
Lo stomaco si è aperto di un appetito che avevo dimenticato, le ginocchia hanno tremato di desideri che avevo ripudiato, gli occhi hanno brillato di luci che avevo spento - e ancora non so dirmi cosa sia stato; forse la tua voce, buona e gentile, che mi chiamava per nome ed era il nome quello vero, quello sostituito, buttato al macero.
Mi hai chiamata Benedetta, quel giorno, ed essere Benedetta è forse lo strazio peggiore.
E la paura divenne timore, e la voglia divenne desiderio, e l'arroganza divenne coraggio.
Le sfumature, ecco qualcosa che ho ritrovato tra gli spigoli del mondo il giorno in cui ho passato lo scritto di latino e finalmente, finalmente t'ho guardato, finalmente ho squarciato il velo e tu hai squarciato me, aprendo porte e scoperchiando quella che di me era ed è la parte più vulnerabile: la carne tenera tra l'ombelico e l'inguine, la purea organica, umida e tiepida, che ribolle tra le pieghe del cuore.
E le rivelazioni si sono fatte spazio rincorrendosi incastrandosi tra loro stridendo nella testa fra l'ansia gelata del non poterti avere e la gioia afosa del sapermi finalmente ancora viva - e ho ricordato cose che avevo rimosso, segnali squilanti della psiche che raccontavano sogni, cose già pensate eppure mai realmente immaginate perché spietate nella loro prepotenza - e la birra scivolava fresca giù per la gola e sembrava sussurrarmi alle orecchie il coraggio, il coraggio e la voglia di guardarti in faccia e dirti con perifrasi sbagliate e anacoluti e parolacce e virgole che non erano mai al posto giusto quanto mi sembrasse crudele e gelido ogni istante là dentro che passavo senza te - e ti ho guardato scrivere, parlare, fumare e muoverti e mi sono fatta domande, data risposte - ho consumato la pelle ruvida dei polpastrelli pattinando tra i tasti del cellulare nel tentativo di trovare sempre la cosa più giusta, l'aggettivo migliore per raccontarti una qualsiasi cazzata - e un giorno tu mi hai preso la mano e la ginocchia sono diventate bollenti e ho creduto che il mio povero cervello sarebbe schizzato dalle orecchie spappolandosi sul pavimento sporco della metropolitana e sarei morta così, patetico burattino in vestito succinto e stivali, esalando l'ultimo respiro tra Palestro e Porta Venezia sotto lo sguardo attonito dei passanti accaldati.
Ed è stato prendersi le mani con le mani, e volersi senza fine, raccontarsi guardarsi ridersi addosso, scavare il proprio ventre con le dita e cavarne fuori piano quella che di me era ed è la parte più vulnerabile, la parte più bella.
Lo scritto di latino io l'ho dato tre volte, le prime due sono state fallimentari - dovete sapere, amati lettori, che lo scritto di latino non è un esame normale: lo scritto di latino si può sostenere una volta per sessione, ciò significa che lo scritto di latino, se non lo passi, ti blocca per i successivi quattro mesi, e nel caso spietato tu non lo passi ancora, ti blocca per altri quattro mesi e via dicendo.
La terza volta che ho dato lo scritto di latino pesavo 40kg tondi tondi.
Quando ho saputo di averlo passato ne pesavo 39, e credevo fosse una buona idea.
Quando ho saputo di averlo passato ero appollaiata sul muretto dell'aula studio a non volerlo sapere, e fumavo sigarette e berciavo cagate con la mia voce grossa, e morivo di fame e di dolore.
Quando ho saputo di averlo passato io ti ho guardato, e se la prima volta che t'ho visto forse non t'avevo visto quando ti ho guardato è stata come una cannonata in pieno petto - una cannonata avrebbe fatto meno rumore.
Quel rumore, come di temporale, nessuno l'ha sentito.
Lo stomaco si è aperto di un appetito che avevo dimenticato, le ginocchia hanno tremato di desideri che avevo ripudiato, gli occhi hanno brillato di luci che avevo spento - e ancora non so dirmi cosa sia stato; forse la tua voce, buona e gentile, che mi chiamava per nome ed era il nome quello vero, quello sostituito, buttato al macero.
Mi hai chiamata Benedetta, quel giorno, ed essere Benedetta è forse lo strazio peggiore.
E la paura divenne timore, e la voglia divenne desiderio, e l'arroganza divenne coraggio.
Le sfumature, ecco qualcosa che ho ritrovato tra gli spigoli del mondo il giorno in cui ho passato lo scritto di latino e finalmente, finalmente t'ho guardato, finalmente ho squarciato il velo e tu hai squarciato me, aprendo porte e scoperchiando quella che di me era ed è la parte più vulnerabile: la carne tenera tra l'ombelico e l'inguine, la purea organica, umida e tiepida, che ribolle tra le pieghe del cuore.
E le rivelazioni si sono fatte spazio rincorrendosi incastrandosi tra loro stridendo nella testa fra l'ansia gelata del non poterti avere e la gioia afosa del sapermi finalmente ancora viva - e ho ricordato cose che avevo rimosso, segnali squilanti della psiche che raccontavano sogni, cose già pensate eppure mai realmente immaginate perché spietate nella loro prepotenza - e la birra scivolava fresca giù per la gola e sembrava sussurrarmi alle orecchie il coraggio, il coraggio e la voglia di guardarti in faccia e dirti con perifrasi sbagliate e anacoluti e parolacce e virgole che non erano mai al posto giusto quanto mi sembrasse crudele e gelido ogni istante là dentro che passavo senza te - e ti ho guardato scrivere, parlare, fumare e muoverti e mi sono fatta domande, data risposte - ho consumato la pelle ruvida dei polpastrelli pattinando tra i tasti del cellulare nel tentativo di trovare sempre la cosa più giusta, l'aggettivo migliore per raccontarti una qualsiasi cazzata - e un giorno tu mi hai preso la mano e la ginocchia sono diventate bollenti e ho creduto che il mio povero cervello sarebbe schizzato dalle orecchie spappolandosi sul pavimento sporco della metropolitana e sarei morta così, patetico burattino in vestito succinto e stivali, esalando l'ultimo respiro tra Palestro e Porta Venezia sotto lo sguardo attonito dei passanti accaldati.
Ed è stato prendersi le mani con le mani, e volersi senza fine, raccontarsi guardarsi ridersi addosso, scavare il proprio ventre con le dita e cavarne fuori piano quella che di me era ed è la parte più vulnerabile, la parte più bella.
14 luglio 2012
Avvelenamento
La cosa che sapete fare è meglio è dimostrare quanto ce l'avete grosso - il libro sotto al braccio.
La seconda cosa che sapete fare è meglio è scrivere tesi di laurea che suonano più o meno 'ecco, leggo questo libro e vi spiego perché è bello', mentre mendicate una manciata di minuti fuori dall'ufficio degli insegnanti di letteratura che una volta sono stati ragazzi presuntuosi come voi, proprio come voi - a loro di voi non frega un cazzo, esattamente come a voi non fregherà un cazzo degli studenti se mai arriverete a occupare quella posizione, tra la velleità di fondare una casa editrice che faccia impallidire l'Adelphi e scrivere il romanzo che Pasolini non ha mai scritto perché, sapevatelo, l'hanno ammazzato prima.
La terza cosa che sapete fare meglio è presentarvi a lezione con le vostre tracolle di pelle sgualcita, le Converse, la maglietta di sinistra all'ultimo grido e sedervi svogliati in prima fila, aspettare che il professore inizi a parlare e intanto sfogliare distrattamente una merda di romanzo neorealista stando bene attenti a farvi notare da tutti.
La quarta cosa che sapete fare meglio è appoggiare il culo sull'erba del chiostro, bere caffé e commentare la merda di romanzo neorealista di cui sopra, sentendovi molto intellettuali, molto perbene, molto letterati.
La quinta cosa che sapete fare meglio è andare al Magnolia il venerdì sera, bere e fumarvi le canne e divertirsi - sì, ma solo nei Circoli ARCI di cui siete fan accanitissimi, circoli ARCI in cui finirete a lavorare la prossima estate perché voi le mani a consegnare pizze o a pulire il naso a bambini capricciosi non ve le sporcate, però amate il popolo.
La sesta cosa che sapete fare meglio è amare il popolo.
La settima cosa che sapete fare meglio è odiare la massa - che se non ve l'hanno mai spiegato, manica di imbecilli, è praticamente sinonimo di popolo, quel popolo arrabbiato, sporco e coi forconi, il popolo che bruciava le streghe e ora guarda il Grande Fratello, la massa che odiate è il popolo che dite di amare.
L'ottava cosa che sapete fare meglio è viaggiare o desiderare di farlo - passare l'estate in Scandinavia a gelarvi il culo esplorando cimiteri e rompendo i coglioni alle renne, poi tornare a settembre e raccontare a un pubblico estasiato di deficienti quale magnifica esperienza sia stata.
La nona cosa che sapete fare meglio è andare in manifestazione, tra le ACLI e i facinorosi, con le bandiere rosse e le camicette firmate - centinaia di euro, con Mastercard; fingere di essere come gli sfortunati con le pezze al culo, invece, non ha prezzo.
La decima cosa che sapete fare meglio è sfogliare il Fatto Quotidiano ed eiaculare su qualsiasi parola sia stata scritta da Marco Travaglio.
L'undicesima cosa che sapete fare meglio è parlare di cultura, di manifestazioni culturali, di caffé culturali, di contenuti culturali, di persone che avete scaricato perché non abbastanza culturali - la cultura che millantate è preconfezionata e scontata e mediocre e imbelle, proprio come voi.
La dodicesima cosa che sapete fare meglio è fischiettare Enaudi, citare Gaber, leggere Pasolini, guardare film di Nanni Moretti.
La tredicesima cosa che sapete fare meglio è disgustarmi e impietosirmi, sempre, dal momento in cui mi sono immatricolata al corso di laurea in Lettere Moderne, Facoltà di Lettere&Filosofia, all'Università degli Studi di Milano - da quel giorno glorioso io metto piede nell'atrio, mi guardo intorno e sorridendo penso al dottor Cox.
La seconda cosa che sapete fare è meglio è scrivere tesi di laurea che suonano più o meno 'ecco, leggo questo libro e vi spiego perché è bello', mentre mendicate una manciata di minuti fuori dall'ufficio degli insegnanti di letteratura che una volta sono stati ragazzi presuntuosi come voi, proprio come voi - a loro di voi non frega un cazzo, esattamente come a voi non fregherà un cazzo degli studenti se mai arriverete a occupare quella posizione, tra la velleità di fondare una casa editrice che faccia impallidire l'Adelphi e scrivere il romanzo che Pasolini non ha mai scritto perché, sapevatelo, l'hanno ammazzato prima.
La terza cosa che sapete fare meglio è presentarvi a lezione con le vostre tracolle di pelle sgualcita, le Converse, la maglietta di sinistra all'ultimo grido e sedervi svogliati in prima fila, aspettare che il professore inizi a parlare e intanto sfogliare distrattamente una merda di romanzo neorealista stando bene attenti a farvi notare da tutti.
La quarta cosa che sapete fare meglio è appoggiare il culo sull'erba del chiostro, bere caffé e commentare la merda di romanzo neorealista di cui sopra, sentendovi molto intellettuali, molto perbene, molto letterati.
La quinta cosa che sapete fare meglio è andare al Magnolia il venerdì sera, bere e fumarvi le canne e divertirsi - sì, ma solo nei Circoli ARCI di cui siete fan accanitissimi, circoli ARCI in cui finirete a lavorare la prossima estate perché voi le mani a consegnare pizze o a pulire il naso a bambini capricciosi non ve le sporcate, però amate il popolo.
La sesta cosa che sapete fare meglio è amare il popolo.
La settima cosa che sapete fare meglio è odiare la massa - che se non ve l'hanno mai spiegato, manica di imbecilli, è praticamente sinonimo di popolo, quel popolo arrabbiato, sporco e coi forconi, il popolo che bruciava le streghe e ora guarda il Grande Fratello, la massa che odiate è il popolo che dite di amare.
L'ottava cosa che sapete fare meglio è viaggiare o desiderare di farlo - passare l'estate in Scandinavia a gelarvi il culo esplorando cimiteri e rompendo i coglioni alle renne, poi tornare a settembre e raccontare a un pubblico estasiato di deficienti quale magnifica esperienza sia stata.
La nona cosa che sapete fare meglio è andare in manifestazione, tra le ACLI e i facinorosi, con le bandiere rosse e le camicette firmate - centinaia di euro, con Mastercard; fingere di essere come gli sfortunati con le pezze al culo, invece, non ha prezzo.
La decima cosa che sapete fare meglio è sfogliare il Fatto Quotidiano ed eiaculare su qualsiasi parola sia stata scritta da Marco Travaglio.
L'undicesima cosa che sapete fare meglio è parlare di cultura, di manifestazioni culturali, di caffé culturali, di contenuti culturali, di persone che avete scaricato perché non abbastanza culturali - la cultura che millantate è preconfezionata e scontata e mediocre e imbelle, proprio come voi.
La dodicesima cosa che sapete fare meglio è fischiettare Enaudi, citare Gaber, leggere Pasolini, guardare film di Nanni Moretti.
La tredicesima cosa che sapete fare meglio è disgustarmi e impietosirmi, sempre, dal momento in cui mi sono immatricolata al corso di laurea in Lettere Moderne, Facoltà di Lettere&Filosofia, all'Università degli Studi di Milano - da quel giorno glorioso io metto piede nell'atrio, mi guardo intorno e sorridendo penso al dottor Cox.
Vi megaodio tutti, buona giornata!
8 luglio 2012
Positività ed epifanie del weekend
# In principio erano gli occhi di mio padre, piccoli scuri e lucenti - erano gli occhi dell'Amore, della Consapevolezza, dell'Autorità, dell'Ultima parola.
E poi erano gli occhi di Richi, verdi come cocci di bottiglia che sapevano vedere senza domandare.
E occhi che avessero meno passione non li ho mai cercati, non mi sono mai bastati.
# Giocavo a 'trova le differenze', tra gli oggi e gli ieri, tra due mesi fa a quest'ora e gli ultimi giorni.
Ho smesso di pregare di morire nel sonno, finalmente - forse il benessere è quel momento in cui l'idea della morte ti fa una paura fottuta.
# Nell'ultimo anno ho dimenticato me stessa, di coltivarmi, di volermi bene - nell'ultimo anno ho perso circa dieci mesi dietro a un solo esame, non ho quasi mai terminato un libro, ho smesso di leggere i quotidiani, di comprarmi vestiti, di guardare film, di crescermi.
Nell'ultimo anno ho vissuto per inerzia, ho deciso che non voglio farlo mai più.
# Voglio la certificazione in lingua inglese, voglio la patente, voglio laurearmi, voglio passare al tabacco - il tutto entro la fine del 2012.
# E' cosa buona e giusta prendersi 48 per starsene soli a pensarsi un po', a regalarci tutto ciò che è meglio per noi, quando decidi di voler cominciare una 'nuova vita', o meglio...riprenderti quella vecchia, buttando alle spalle le pigrizie le insicurezze gli slanci di codardia, lo consiglio veramente a tutti.
E poi erano gli occhi di Richi, verdi come cocci di bottiglia che sapevano vedere senza domandare.
E occhi che avessero meno passione non li ho mai cercati, non mi sono mai bastati.
# Giocavo a 'trova le differenze', tra gli oggi e gli ieri, tra due mesi fa a quest'ora e gli ultimi giorni.
Ho smesso di pregare di morire nel sonno, finalmente - forse il benessere è quel momento in cui l'idea della morte ti fa una paura fottuta.
# Nell'ultimo anno ho dimenticato me stessa, di coltivarmi, di volermi bene - nell'ultimo anno ho perso circa dieci mesi dietro a un solo esame, non ho quasi mai terminato un libro, ho smesso di leggere i quotidiani, di comprarmi vestiti, di guardare film, di crescermi.
Nell'ultimo anno ho vissuto per inerzia, ho deciso che non voglio farlo mai più.
# Voglio la certificazione in lingua inglese, voglio la patente, voglio laurearmi, voglio passare al tabacco - il tutto entro la fine del 2012.
# E' cosa buona e giusta prendersi 48 per starsene soli a pensarsi un po', a regalarci tutto ciò che è meglio per noi, quando decidi di voler cominciare una 'nuova vita', o meglio...riprenderti quella vecchia, buttando alle spalle le pigrizie le insicurezze gli slanci di codardia, lo consiglio veramente a tutti.
4 luglio 2012
III persona
"Lui le piaceva perché aveva occhi come biglie di vetro e la faceva ridere - perché sembrava comprenderla nei suoi lati più sbagliati, nelle sue psicosi più atroci, lui sapeva che era manipolabile, spaventata, insicura, eppure non intendeva approfittarsene.
Lui le piaceva perché la faceva sentire bella e pulita, normale, le piaceva perché non la compativa ma la rispettava nelle sue storie più brutte, nei suoi trascorsi più torbidi - le piaceva perché l'ascoltava parlare e si commuoveva, perché la guardava studiare e lei fingeva di non accorgersene.
Lui le piaceva perché la baciava come si baciano i ragazzini, all'improvviso e in mezzo alla strada, tra le facce indifferenti della gente - perché la toccava ed era dolce, la toccava e non sbagliava mai.
Le piaceva perché era buono, e lei era una di quelle persone che alla bontà incondizionata del mondo e del genere umano aveva smesso di credere - era buono con lei più di quanto lei lo fosse mai stata con se stessa.
Le piaceva perché si accorgeva di cose che lei cercava di celare esibendole, le cicatrici e i gesti, i morsi della fame e del senso di colpa, le palpebre arrossate, le ossa sporgenti - le piaceva perché con occhi come biglie di vetro la guardava, la vedeva, e con le mani le prendeva le mani e non diceva niente, bastava a se stesso e le piacevano i suoi silenzi, i sorrisi a denti stretti, le ciglia lunghe.
Lui le piaceva perché gli era grata di molto, moltissimo - dei chili ripresi con la forza dell'aver riempito almeno un po' quel vuoto quella solitudine quella paura quell'incapacità di dare e di prendere quell'inadeguatezza quell'arrendevolezza quell'ansia feroce del considerare ogni gesto fosse anche il più banale come un regalo immeritato un premio alla persona sbagliata.
Lui le piaceva perché era Lui, perché era vero, perché era lì.
Lui le piaceva e basta, le piaceva tantissimo."
BVC, Cose che non interessano a nessuno, edito Allanimadeli 2012.
Lui le piaceva perché la faceva sentire bella e pulita, normale, le piaceva perché non la compativa ma la rispettava nelle sue storie più brutte, nei suoi trascorsi più torbidi - le piaceva perché l'ascoltava parlare e si commuoveva, perché la guardava studiare e lei fingeva di non accorgersene.
Lui le piaceva perché la baciava come si baciano i ragazzini, all'improvviso e in mezzo alla strada, tra le facce indifferenti della gente - perché la toccava ed era dolce, la toccava e non sbagliava mai.
Le piaceva perché era buono, e lei era una di quelle persone che alla bontà incondizionata del mondo e del genere umano aveva smesso di credere - era buono con lei più di quanto lei lo fosse mai stata con se stessa.
Le piaceva perché si accorgeva di cose che lei cercava di celare esibendole, le cicatrici e i gesti, i morsi della fame e del senso di colpa, le palpebre arrossate, le ossa sporgenti - le piaceva perché con occhi come biglie di vetro la guardava, la vedeva, e con le mani le prendeva le mani e non diceva niente, bastava a se stesso e le piacevano i suoi silenzi, i sorrisi a denti stretti, le ciglia lunghe.
Lui le piaceva perché gli era grata di molto, moltissimo - dei chili ripresi con la forza dell'aver riempito almeno un po' quel vuoto quella solitudine quella paura quell'incapacità di dare e di prendere quell'inadeguatezza quell'arrendevolezza quell'ansia feroce del considerare ogni gesto fosse anche il più banale come un regalo immeritato un premio alla persona sbagliata.
Lui le piaceva perché era Lui, perché era vero, perché era lì.
Lui le piaceva e basta, le piaceva tantissimo."
BVC, Cose che non interessano a nessuno, edito Allanimadeli 2012.
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