expr:class='"loading" + data:blog.mobileClass'>

26 aprile 2012

Tra la Varesina e il West

Vivo in un paese piccolo che è un paese dormitorio, paese piccolo in cui la gente mormora; paese piccolo dell'hinterland milanese in cui le facce per strada sono sempre le stesse, sempre le stesse le vie da attraversare, solo ogni tanto spunta un bar, o un negozio nuovo, che i cittadini di vecchia data guardano con occhi dubbiosi e le labbra si piegano scettiche a sibilare la frase 'non funzionerà mai'.
In questo paese piccolo ci sono due scuole elementari, una scuola media, un centro giovanile (quasi sempre vuoto), un centro anziani (quasi sempre pieno, spaventosamente pieno), un centro sportivo, nessun locale decente in cui passare il sabato sera, quattro tabaccai, tre cartolerie, un paio di gelaterie, un cimitero, due chiese (anzi tre, una è piccolissima e non serve quasi a niente, ci sono entrata la prima volta quest'estate dopo aver fatto gli esami del sangue - mi aspettavo atmosfere affascinanti, invece c'erano solo quattro panche ed un brutto quadro di una Madonna o di un Cristo, nemmeno l'odore d'incenso o 'un prete per chiacchierar'), una stazione ferroviaria, negozi vari ed eventuali di generi alimentari, tre supermercati piccini, un bosco, infinite storie dell'orrore sul bosco in questione, diverse banche, una posta, qualche compagnia assicurativa, forse due agenzie immobiliari, e una biblioteca.
La biblioteca è in pieno centro, è piccola ma ben fornita, sempre caldissima in qualsiasi stagione, gremita di ragazzi che l'affollano per studiarvi o per ritrovarcisi (e infatti son tutti conoscenti miei, alcuni persino amici), si affaccia su un piccolo cortile e sul 'bar della biblioteca' che si chiama però Café Voltaire, nome perfetto se fosse sulla Senna, invece è in via Piave (o è via Donizetti? Chissà!) a Cesate, tredicimila anime stanche nell'hinterland milanese. La biblioteca è gialla, il Café Voltaire è giallo, il cielo di questo giorno di fine aprile è azzurro, l'umore di Vanna (che in biblioteca è più comunemente detta Benedetta, i miei ex compagni delle elementari raramente mi chiamano 'col nome nuovo' e preferiscono quello di quand'ero bambina, quello che persino io a volte ho dimenticato) è azzurro, il Satyricon di Petronio che mi è capitato fra le mani era rosso, e i pochi appunti tracciati a matita sull'introduzione a cura di chissà chi erano grigi, ed erano miei.
Ho preso in prestito quel libro alla biblioteca del paese piccolo in cui la gente mormora in quinta liceo - perché mai, mai avrei sprecato otto euro della mia preziosa paghetta settimanale e dei quattro soldi che prendevo pulendo i bagni di uno squallido bar per comprare un libro che avrei usato solo e soltanto per la scuola, un libro in latino, un libro incompiuto!
Mi è capitato tra le mani, rosso, mentre cercavo il De Bello Gallico e l'Eneide per un esame che devo preparare (cambiano le pecunie, non le abitudini, e ancora mi rifiuto di comprare libri in latino, libri incompiuti!), l'ho sfogliato, ho sentito e visto che era lo stesso. Appunti in scrittura incerta che ho faticato a riconoscere come miei, nozioni vaghe sulla cena di Trimalcione, il mio nome e cognome e la mia classe, la testimonianza ineluttabile dell'inciviltà che dimostro nello scrivere sui libri della biblioteca, ma è solo perché ho paura di perderli, appunto che non sono miei.
Da quando sono diventata grande non ho preso molti libri, ma mi sono preoccupata di cancellare i miei innocenti appunti prima di restituirli, eppure quello è rimasto tale e quale a come l'avevo lasciato io; non vecchio, ma un po' sgualcito, col mio nome sopra. E' stato strano, nient'altro che strano; se fossi poeta o scrittore forse userei un aggettivo migliore, ma è che è stato strano e basta, forse non lo sarebbe per chi non ha verso gli oggetti un attaccamento morboso, ma lo è stato per me e tanto mi è bastato per avere il batticuore.
Il paese piccolo sta cambiando, non dirò che sta diventando grande perché non sarebbe vero, ma le case spuntano come funghi e coprono i campi di grano che ci circondavano a mo' di fossato quand'ero bambina, pare che le famiglie letteralmente si affollino per venire a vivere qui - tra queste case sempre uguali, vie che non cambiano mai, piazze che non si rinnovano, tamarri che si accoltellano, perché è un posto tranquillo, è comodo e verde e silenzioso e vivibile e mortalmente noioso, forse un po' brutto ma sicuramente abbastanza noioso per camparci serenamente e crescerci dei figli - sempre che non vengano mandati all'unica scuola media del comune, perché in quel caso i figli prodigi rischiano di aver corta la vita tra bullismi e amianto che ancora ristagna sui tetti, tra le lamiere fns, fine nota satirica, anzi...satyrica..
Là dove c'era l'erba ora c'è...non proprio una città, ma un paesotto volgare in continua evoluzione, eppure letalmente uguale a sé stesso nei secoli dei secoli, per tutti i secoli, la gloria dei secoli.
Paesotto volgare, la cui biblioteca fa di tutto per renderlo meno volgare, e tiene cara la sua unica copia del Satyricon anche se una diciottenne ribelle fece la stupidaggine di scriverci sopra il suo nome, il suo cognome, la sua classe, vaghe nozioni che devo aver ripetuto un po' a memoria alla mia stupenda prof. di letteratura italiana e latina, insegnante di versi, di prosa e di vita.

Il paese in cui vivo è un paese dormitorio in cui la gente non dorme ma mormora, in cui le facce, i nomi, le notizie, gli eventi, le nascite, le morti, le partenze e i ritorni si rincorrono di bocca in bocca e arrivano alle orecchie di tutti, anche di chi non vorrebbe sentire - orecchie di chi dice che non gl'importa niente e poi sa sempre tutto, orecchie che somigliano incredibilmente alle mie.
Il paese in cui vivo è tra la Varesina e il West, non ha niente da offrire, non ha siti storici da visitare, ma ha una biblioteca gialla in cui ogni libro rimane letteralmente uguale a come l'avevi lasciato e questa è una bella cosa, per un paese noioso e piccolo, così piccolo, in cui la gente - quando non grida da una finestra all'altra come nei migliori romanzi popolari - mormora, e mormora, e mormora.

2 commenti: