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26 giugno 2012

Mi manchi quando sono spaventata, mi manchi quando sono infelice, mi manchi quando sono disperata e mi mordo le braccia e infilo la testa sotto al cuscino per non sentire niente - mi manchi quando sto male, così male che lo stomaco sembra stia per spezzarsi in due, quando ho la febbre, quando ho il raffreddore.
Ma mi manchi sopratutto e più che mai quando sono felice, o in procinto d'esserlo; bada bene, non credo alla felicità eterna e a voler essere sincera mi fa paura, me la sentirei male addosso come un vestito troppo stretto, parlo di quella felicità effimera e quindi meravigliosa - quella felicità che vorrebbe essere gridata al mondo, la felicità dell'avere gli occhi strani, come dice Sebastiano che ha solo dodici anni ma il mondo e le donne lui li capisce benissimo, sicuramente li capisce meglio di me.
Mi manchi quando sto bene, quando tutto ciò di cui avrei bisogno sarebbe avere il tuo numero di telefono, scriverti un sms per dirti che cos'è appena successo, come fanno tutte le figlie del mondo - mi manchi ogni giorno, ogni momento, mi manchi da sempre e per sempre mi mancherai, mi manchi nelle cose piccole e mi manchi in ogni traguardo, a ogni traguardo io ti cerco e non ti trovo e vorrei mi dicessero che è tutto uno scherzo, che siamo ancora nel 1989 e tutto deve ancora cominciare, non ti trovo ma io lo sento, lo sento che sei sempre lì, c'eri ai miei esami delle elementari e delle medie c'eri la prima volta che ho fatto l'amore c'eri ai miei diciotto anni c'eri alla maturità c'eri all'immatricolazione ci sarai alla mia laurea al mio primo lavoro 'vero' al primo figlio al matrimonio e al divorzio, c'eri, ci sei e ci sarai, questa è una cosa che nessuno puà togliermi, che dietro al velo abusato delle cose dette 'reali', dietro agli ateismi spiccioli, dietro alle leggi della fisica, io ti vedo e sei sempre bellissima.

22 giugno 2012

La prima cosa bella


La terza cosa bella sono le tue mani (proprio uguali alle mie) che mi stringono forte - la seconda cosa bella è che di chiunque m'innamori nella vita per me esiste un solo eroe e quello sei tu - la prima cosa bella è essere tua figlia, il tuo Amore, la tua bambina.
Buon compleanno papà.


18 giugno 2012

Oltre alle gambe c'è di più, parte II

Trenta secondi nella testa di una (quasi) donna single in piena sindrome premestruale:

Voglio un dolce - le mie amiche non mi vogliono bene - non ho amici - morirò sola con dieci gatti - ho le ginocchia nodose - vorrei rifarmi il mento - questa maglietta mi fa sembrare grassa - ho mal di testa - voglio un dolce - voglio anche un panino al prosciutto - quanto tempo è che non faccio sesso? - quanto tempo passerà prima che io rifaccia sesso? - non piaccio a nessuno - morirò sola nella mia merda e i gatti mi mangeranno le orecchie - ho sbagliato tutto nella vita - sono quì che guardo che mi guardo crescere la mia cellulite le mie nuove consapevolezze - avrei dovuto iscrivermi a Medicina - sicuramente avrà trovato un'altra che lo fa stare meglio di me - nessuno è meglio di me! - spero che sia grassa - spero che gli attacchi l'herpes - voglio un dolce - voglio affogare in una vasca di gelato - non ho talento - tutti mi odiano, lo so - sono lesbica - quanto tempo è che non faccio sesso? - invidio così tanto la mia amica che è fidanzata da cinque anni e sta per sposarsi - piuttosto che fare la fine della mia amica mi arruolo nella Legione Straniera - attiro solo casi umani - sono un caso umano - avrei dovuto rimanere con nomediexacaso - voglio un dolce - credo che lui mi piaccia - non uscirei mai con me stessa - la prossima volta che bacerò qualcuno sarà la mia prozia al battesimo del figlio dei vicini di casa, e sarà anche l'ultima - ora mi compro quel vestito - datemi un dolce, mi spetta di diritto - con quel vestito sembrerei un sacco di letame - sono un sacco di letame - credo che lui mi piaccia, e pure tanto - le persone sono cattive - domani vado a farmi congelare gli ovuli - sarò mica incinta? - no, non è possibile, è troppo tempo che non faccio sesso - quanto tempo è che non faccio sesso? - voglio un dolce - credo che lui mi piaccia, e pure tanto, e credo mi comprerò un dolce.

14 giugno 2012

Cose che avrei voglia di fare

Farmi offrire una birra, mangiare sushi con le mani e un goccia di salsa di soia che mi scivola sul mento, sbronzarmi e svegliarmi come mio cuggino in un fosso che gli mancava un rene, imparare a giocare a biliardo anche se non ho mai avuto la costanza di imparare niente in vita mia, ingozzarmi alla sagra del fungo e alla festa del fritto senza che mangiare somigli al camminare nuda in Piazza Duomo, senza che mangiare sia una colpa, qualcosa di sporco, da non fare - o da fare di nascosto.
E poi ripulire il giardino dalle erbacce e preparare la tavola in mezzo ai fiori e all'erba e alle lucertole che s'inseguono, ignorare il vicino di casa bestemmiatore, dimostrare il fascino perverso di un infradito con calzino, ridere fino a sentire male alla pancia tra un verso dell'Eneide e l'altro, insultare la madre di Zequila e poi promettere di non farlo mai più, sentirmi ancora spaventata e vulnerabile ma anche divertente, piacevole, empatica, fuori e meglio di me - e vagamente incredula, leggera, prepotentemente viva, e mettere su un altro paio di chili e somigliare a un panzerotto e portare gonne (imputtanirmi?) e affogare in un vasetto di funghi sott'olio e leggere Montale e lasciarmi toccare il mento, la pancia, le vertebre, le orecchie e le caviglie e vedere finalmente Kung Fu Panda, stilare liste, uccidere una per una le psicosi, chiedermi quand'è stata l'ultima volta che mi sono sentita così timida, smetterla di essere sempre frettolosa ingorda impulsiva imparando l'arte suprema dell'attendere e del valutare, del parlare del conoscere dell'avere timore, appoggiarmi a schiene più larghe della mia ma per pietà nessuno si appoggi a me!, contare perifrasi sulle dita - legarle alle falangi come amuleti, cucirle ai capelli come un rasta, sentirle tremare nelle ginocchia.

Cose che avrei voglia di fare, che ho già fatto, che sto facendo, che rifarei.
Cose che mi brillano dentro, cose che indosso, cose che sento sotto le ciglia, cose che mi prendo, cose che non credevo di meritare, cose che in effetti merito eccome, cose che.

10 giugno 2012

La doccia della domenica

Si comincia con l'accendere la luce crudele dello specchio in bagno tenendo a portata di mano non una bensì due pinzette per sopracciglia: una di forma squadrata per togliere il grosso, una appuntita per rifinire - le hai lasciate un po' perdere ultimamente, è ora di cambiarne la forma, rendile più sottili, più dure.
La pelle dell'arcata sopraccigliare è come se non fosse più tua, negli anni è diventata insensibile al dolore e si arrossa appena; a lavoro finito, e ci vogliono sempre quindici minuti circa, sciacquati il viso con acqua tiepida e sapone neutro, lentamente, godendo della schiuma tra le dita.
E' il momento della maschera per il viso agli agrumi, spremila sulle mani e poi accarezzati il volto e il collo, piano, con movimenti circolari - cela i lineamenti, abbonda col prodotto, non essere avara, e ora guardati, la faccia è bianca e solo gli occhi sono neri, immensi, medita se farti una foto da postare su facebook per recitare la parte che preferisci, quella della 'tipa alla mano che sa prendersi in giro'.
Lascia stare, la vasca è quasi piena d'acqua bollente e profumata, hai versato un quantitativo generoso di bagnoschiuma al muschio bianco, la schiuma invoca il tuo nome, sei già nuda e immergi il piede destro, poi quello sinistro, e ti siedi, t'inabissi fino alle scapole e chiudi gli occhi, lasciando che la maschera di bellezza faccia effetto - la senti penetrare nei pori, rassicurante e fresca, quando inizierà a bruciare potrai sciacquarla via di prepotenza, il getto della doccia ben puntato sulla fronte, e aspettare che scivoli tutta nell'acqua che si sta intorbidendo.
E' giunto il momento d'insaponarsi con calma, si comincia dalle braccia, poi le spalle, il seno, la pancia, l'inguine, le cosce e i polpacci - i polpacci hanno bisogno di una passata lieve di rasoio, il rasoio è una carezza ruvida che fa la pelle levigata, i tuoi piedi sono appoggiati al bordo della vasca, li guardi e sono piccoli e perfettamente rosa, sono piedi di bambina che piacciono agli uomini, che piacciono a te, li insaponi piano canticchiando un melodico De Andrè.
Riprendi tra le mani il doccino, lo passi tra i capelli, e poi riempi le mani di shampo alla camomilla per rendere le chiome più chiare - rimpiangi quei giorni in cui un flacone durava forse due settimane, avevi i capelli lunghissimi, ora basta una goccia delle dimensioni di una moneta, frizioni lentamente il cranio, insisti sulla nuca e dietro alle orecchie, emulsioni con acqua e guardi la schiuma cadere in larghe goccie bianche e concentriche.
Risciacqui, senza fretta, che non rimanga nulla, e quando non c'è più rischio che tu possa ingoiare lo shampo ti riempi la bocca d'acqua, la sputi in aria, fingi di essere una fontana - togli il tappo, guardi il tuo corpo riemergere lentamente dai flutti domestici, lo risciacqui, ti alzi in piedi: sei nuda, bagnata e vulnerabile, sgoccioli a ogni movimento.
Ti avvolgi nell'accappatoio, nell'unica tasca disponibile infili la crema per il viso, quella per il corpo, il deodorante - resti nuda in piedi in camera tua, avvolgi la testa in un asciugamano, prima il viso.
Immergi un polpastrello nella crema al cetriolo, generosamente pattini con le dita sul volto, a occhi chiusi, e poi infili i pantaloncini, la maglietta del pigiama, passi il deodorante stick sotto le ascelle, i polpacci iniziano a pruderti - il prezzo da pagare per la passata di rasoio; la crema per il corpo è quella da grande occasione, quella di Chanel, la spalmi con calma dalle ginocchia alle dita dei piedi ascoltando colonne sonore della Disney, ti soffermi a godere dell'acuto di Megara (io sento dentro 'puoi fidarti', mentre la testa mia 'non lo fare') e sorridi tuo malgrado.
Sei pronta.
Idratata, profumata, pulita - per qualche ora, solo qualche ora...senza peccato.

Dio non mi ha concesso il dono della Fede, in questo giorno che è un giorno santo io non sono invitata alla sua mensa, non ho modo di liberarmi dai miei peccati, e non ci sono parole di Cristo che possano salvarmi - ciò che mi rimane, l'unico Rito che ancora mi concedo è la doccia della domenica, che lavi via tutto quanto accumulato nella settimana appena trascorsa (smog, nicotina, alcolici, bestemmie, delusioni, risultati, battiti di cuore, battiti di ciglia, spaventi e rivelazioni) e aiuti ad affrontare degnamente quella che invece è in arrivo.
E buona settimana a tutti.

9 giugno 2012

Sull'ammore (monotematismi e vago benessere)

Sto cambiando, me lo sento nella pelle - e spero mi venga perdonato il monotematismo degli ultimi giorni, ma questo è un blog senza pretese, un 'caro diario' e scrivere per me non è mai stata un'arte quanto piuttosto un modo per fare ordine tra le cose, per spolverare superfici e guardarle nella loro interezza.
Sto cambiando, me lo sento nella pelle - mi è stato detto da A alla sagra del cinghiale, stappando una bottiglia di vino e facendo confessioni pericolose, i suoi occhi erano preoccupati e limpidi e i miei erano nascosti dalle ciglia e spaventati, ma il fatto che io stia cambiando per una volta (la prima?) non mi fa paura.
Sono giorni che tento di scrivere un post, ne avrò scritti forse una dozzina, uno diverso dall'altro eppure tutti per dire la stessa cosa: che sto bene, fondamentalmente non c'è altro.
Non è un 'bene' che abbraccia la totalità della mia esistenza, studio e lavoro e sto con mio padre e faccio le pulizie e faccio la spesa e sono sempre un po' troppo magra e bisticcio coi miei capelli, non ho vinto all'enalotto nè ho trovato un nuovo fidanzato che abbia tutto ciò che desidero in un uomo (che legga e che scriva, che sappia cucinare, che mi faccia ridere, che si prenda cura di me - così, a titolo informativo!), Vanity Fair ancora non mi ha assunta come direttrice e nessuno mi ha regalato un carlino.
Quindi sì, sto bene nei limiti e coi limiti - i miei.
Sto bene, ed è questa la cosa più straordinaria, è questo il cambiamento che sento il bisogno di celebrare, che racconto alle persone: sto imparando a stare bene malgrado la perdita, nella perdita, e sto bene senza palliativi, senza placebo che di solito avevano un nome, un cognome, un odore, una carezza per me.
La verità è che per tutta la vita non ho fatto che passare da una storia all'altra e non per paura di rimanere sola, ma per evitare di affrontare a viso aperto il dolore che quell'addio avrebbe procurato, e ora che di quel dolore ci ho riempito le notti, le ore, gli sms tra amiche mi accorgo che non era, non è nulla di così impensabile, intollerabile.
E' un dolore come un altro, sordo e costante, ma scivola via, e avrei dovuto impararlo - l'ho imparato per cose che sono peggiori di questa, peggiori di una storia che finisce semplicemente perché non è mai andata, eppure so nuotare a braccia larghe in oceani di merda e perdermi in bicchieri limpidi di acqua vischiosa come tutte le lacrime che ho (giustamente) versato negli ultimi mesi.

Il mio letto è vuoto, e non mi è mai sembrato così accogliente.
Il mio letto è vuoto, posso dirlo, sono sola.
Lo sono totalmente, senza storielle di una notte, senza intrallazzi vari ed eventuali, senza nessun desiderio o esigenza di averne; il mio letto è vuoto, e non ho proprio voglia di dovermi sforzare per riempirlo, e non è nausea da uomini o da sesso o da sentimenti, non è paura di essere ferita, non è femminismo improvvisato, è un'esigenza, un imperativo categorico a cui per anni mi sono sottratta coprendomi le orecchie con le mani e strizzando forte gli occhi.
Sola, per fare quello che mi pare.
Sola, per riflettere sulle cose.
Sola, per ridere e scherzare con gli amici, o fermarmi a bere una birra dopo l'università senza stare sempre attaccata al cellulare, raccontare a qualcuno dove sono, cosa sto facendo e con chi.
Sola, per capire ciò che voglio e in effetti lo so già: voglio un amore che sia diverso, che nasca in modo diverso, voglio un amore che non si erga prepotente dalle macerie di una storia appena conclusa, ma che arrivi silenzioso e quieto senza sbattere le porte, inaspettato eppure educato, consapevole, che non abbia la forza di una cannonata in pieno petto ma il rumore invariato e potente di pioggia, tantissima, che cade, che pulisce le cose, che pulisce il mondo - che pulisca me.
Voglio un amore, e lo avrò quando saprò riconoscerlo, che faccia frullare il cuore e chiudere lo stomaco ma senza romperli entrambi - voglio conoscere, conoscere bene, la prossima persona con cui deciderò di condividere tempo, sesso e percorsi, voglio essere scelta e voglio scegliere un amore che sia grande e che sia vero, che nasca dal desiderio e non dalla paura.
Voglio un amore che sia desiderio, che faccia attrito rendendo i capelli elettrici.
Voglio un amore che squarci il buio, che squarci il velo, che squarci me.

5 giugno 2012

Cose che sono stata capace di fare

(Ora che ci penso, la verità è che non ti penso)

Correre in bicicletta, ubriacarmi, ridere, abbracciare un'amica, abbordare una ragazza, imparare parolacce in tedesco, andare a un concerto, comprare sigarette, offrire birre, offendermi a morte, passare finalmente lo scritto di latino, inventare zio Gerberto, ordinare pizze, stappare bottiglie alla sagra del cinghiale, ascoltare 'Certe notti' cantata da una donna e che donna, aspettare mio padre, redarre testi, comprare un biglietto per la Sardegna, leggere poesie, mettermi un vestito, riprendere a mangiare anche se con fatica - e sopratutto sentire ancora qualcosa, qualcosa sul fondo del cuore, come un brivido silenzioso e del tutto inaspettato, che mi terrorizza che mi rende vulnerabile che mi fa gli occhi luminosi, qualcosa che non ha un nome ma c'è, è lì, a ricordarmi che certe cose non possono essermi portate via.

(Ora che ci penso, la verità è che non ti penso)

2 giugno 2012

Di foglie e di colpe

Crudele Amore, a che cosa non forzi i cuori degli uomini.
A scendere ancora alle lagrime, ancora a tentar le preghiere
è costretta, a piegare l'orgoglio, supplicando, all'amore,
per non lasciar nulla intentato, per non vanamente morire.
(Eneide, Libro IV)

Epifanie mentre correvo per una Milano afosa in bicicletta e mi perdevo tra le facce aride delle persone allora scrivo, e scrivo, e scrivo, per raccontare favole della buonanotte o solo per togliermi di dosso un po' di rancori - e penso a tutte quelle volte in cui mi divertivo ridevo stavo bene nel caotico mondo che è la mia vita e no, non son solo battiti di cuore ad affliggermi e sì, sì lo so cosa si prova ad avere i presunti 'problemi veri' e no, non è da me fare la vittima, tutte quelle volte in cui mi divertivo ridevo stavo bene e tu non c'eri, o meglio c'eri ed eri lontanissimo anni luce e la colpa è sempre e solo stata mia, io che non riuscivo a comprenderti io che non ti amavo abbastanza io che non ho mai avuto sufficiente pazienza per salvarti da quel sacco nero in cui hai deciso consapevolmente di soffocarti da solo, con gli anni negli anni.
E quelle altre volte in cui mi sono sentita puttana pesante esigente antipatica infedele odiosa arrogante prepotente insensibile e sopratutto puttana, puttana e ancora puttana, così mi sono sentita e l'ho accettato sospirando forte perché per te avrei accettato qualsiasi cosa - mi guardo indietro, so di averlo fatto.
Ti ho amato più di tutto e tu hai amato me, e non parlerò delle cose bellissime perché quelle sono mie, mie e di nessun altro, non parlerò dei tuoi occhi che sono sempre stati color dell'oro o della realtà che sembrava farsi più densa e concreta quasi volesse scoperchiare il mondo ogni volta che facevamo l'amore (e ti mordevo le spalle, soffocavo in un grido il tuo nome, vedevo lampi di luce bianca, e avevo crampi alle dita dei piedi e brividi di ghiaccio ghiaccio bollente lungo la schiena) o dei weekend in campagna cullata dal canto delle cicale e dal tuo respiro profondo e maschio e ingombrante , non racconterò di istanti in cui ho creduto di essere in paradiso solamente perché mi stavi tenendo la mano; tutto questo ora non mi serve - ci sarà tempo per ricordare che bello è stato, ma ora devo riprendermi e stringermi forte da farmi male e per riuscirci ho bisogno di provare rancore e odio e veleno e poi sputarli fuori, guardarli morire sull'asfalto lentamente.
Avrei fatto qualsiasi cosa - l'ho fatta - non ci sono riuscita.
E' questo a ferirmi di più, è questo che mi sta lentamente ma inesorabilmente rendendo arida e sterile, nemica giurata di un sesso che ho sempre amato, intollerante agli uomini ai loro egoismi ai loro mondi in cui è difficile entrare alle loro violenze alle loro parole a quella capacità amara che hanno di farti sempre sentire una donna e come tale colpevole, colpevole fino a prova contraria e quella prova contraria non arriva mai, e anche arrivasse io donna riuscirei a ignorarla mettendomi le mani sulle orecchie e cavandomi gli occhi.
Ti ho amato ti amo e ti amerò sempre per un'infinità di cose che non starò a elencare; ti ho odiato ti odio e ti odierò sempre per come mi hai lasciata andare, per i pretesti che hai saputo afferrare, per quelle sere etiliche in cui volevo essere una ragazza, la tua, sorridente e felice e invece sono stata lapidata da silenzi densi e gravidi di offese malcelate con l'unica colpa eterna e immutabile dell'essere me.
La colpa
La colpa che non c'è, ma che non riesco a levarmi di dosso - Eva mangiò la mela e io mangiai la foglia per giorni per mesi per anni per ore che sembravano lunghe un secolo, spossanti come un viaggio a piedi nudi, mangiai la foglia e non mi accorsi che era avvelenata, all'ora non lo sapevo e adesso lo so.
Lo so di non esserti mai piaciuta del tutto, di me hai amato un qualcosa che non c'era, che avrebbe potuto essere e non è stato perché io per prima non volevo che fosse; la persona che hai amato non c'era e se c'era non mi piaceva, la persona che sono forse non è mai stata all'altezza ma fidati fidati ci ha provato a camminare sui trampoli per assomigliare almeno un po' a qualcosa che andasse bene a entrambi.
Non ci sono riuscita, non ci sei riuscito, non ci siamo riusciti.
E per quanto riguarda le tue, di colpe, come si fa? - le conosco, le elenco alle amiche, le dico a me stessa ogni giorno, le scrivo persino, eppure sono parole vuote, bolle di sapone che scoppiano bruciandomi gli occhi quando tento di afferrarle.
Colpa mia della mia parlantina rapace delle mie parolacce al vento dei miei aneddoti surrealisti della mia ossessione per gli odori altrui della mia estenuante ricerca di piacere sempre a tutti dei miei abiti a volte troppo discinti dei miei abbracci dei miei momenti di gloria della mia persona così pateticamente esposta e vulnerabile e nuda agli occhi della gente - amo la gente e la gente mi ama e questa non è una colpa, eppure per te lo era e la cosa peggiore è che mi sono convinta lo fosse sul serio, e ora lo penso, e ora mi guardo e mi accorgo che è per questo che ti ho perso: non ho saputo liberarmi di me stessa, non sono riuscita a sacrificarmi sul tuo nome, non ho pensato valessi abbastanza.

Ho dovuto scegliere e ho scelto me - e se un giorno mi dirò che è sano, se un giorno mi dirò che è giusto, se un giorno dimenticherò che cosa si prova nel sentire sulle proprie spalle il peso di una colpa così grande, appiccicosa, asfissiante e sgradevole allora forse capirò che è stato meglio così.
Fino a quel giorno qualcosa di me continuerà a detestarsi e volersi far male, raschiare gli zigomi contro a un muro e spezzarsi le dita nel tentativo di afferrare il mostro che ho dentro, scarnificarlo e sputargli addosso mentre muore solo per poterti guardare in faccia e dirti orgogliosa che sì, ora sono come tu mi vuoi.
Fino a quel giorno che sarà un giorno bellissimo io sentirò la colpa, e quando non la sentirò più vorrà dire che il fantasma di questo amore conclusosi nel modo più brutto se ne sarà andato, portandosi appresso ciò che era di me la parte più vera - e se crescere vuol dire anche limarsi e rinunciare io lo accetto, posso accettarlo, solo avrei preferito non doverlo scoprire mai, non così, non con te.